Proteggere il trattamento pensionistico dal pignoramento è sempre stato uno degli obiettivi principali della normativa
Le pensioni sono da sempre considerate una delle forme di reddito più sicure e stabili, tanto che i pignoramenti su pensioni sono soggetti a limiti molto più elevati rispetto a quelli applicabili sugli stipendi o su altri beni. Tuttavia, esiste una importante eccezione a questa regola, che riguarda proprio l’Inps.
L’Inps, l’Istituto Nazionale della Previdenza Sociale, gode infatti di un trattamento privilegiato rispetto a tutti gli altri creditori. Sebbene le pensioni siano tutelate da specifici limiti, nel caso in cui il debitore abbia dei debiti con l’Inps, l’Istituto può procedere con un pignoramento amministrativo, bypassando la necessità di una causa legale ordinaria. Questo significa che l’Inps può trattenere somme più alte rispetto a quanto permesso da qualsiasi altro pignoramento, e farlo in modo diretto, senza la mediazione di un giudice.
Un pignoramento con potere speciale
Il motivo di questa peculiarità risiede in una legge ormai obsoleta, la legge n. 153/1969, che non è mai stata aggiornata per rispecchiare i cambiamenti delle leggi più recenti, pensate per tutelare meglio i pensionati. Questo quadro normativo consente all’Inps di prelevare una parte della pensione per il recupero dei propri crediti, sfruttando un’impostazione che risale a decenni fa e che non tiene conto delle attuali realtà economiche, dove molte pensioni sono molto più alte rispetto a quelle di allora.

In generale, la legge prevede che il pignoramento su pensioni non superi il 20% dell’importo, che può arrivare al 40% solo in determinate circostanze. Tuttavia, questa norma è valida solo per il pignoramento da parte di creditori privati, mentre l’Inps ha il diritto di trattenere fino a un quinto dell’intera pensione, senza dover tenere in considerazione il “minimo vitale”, che in genere viene protetto in caso di pignoramenti da parte di altri creditori.
Nel 2025, il “minimo vitale” è fissato a 598 euro. Per esempio, su una pensione di 1.000 euro, l’Inps potrebbe trattenere fino a 200 euro al mese, mentre per una pensione di 2.000 euro, l’importo prelevabile potrebbe salire a 400 euro. In questi casi, la parte restante deve comunque garantire al pensionato almeno il minimo vitale, ma l’importo trattenuto dalla pensione supera di gran lunga quello che sarebbe permesso in un pignoramento ordinario.
Per chiarire meglio le differenze, facciamo qualche esempio. Se una persona percepisce una pensione di 1.000 euro, questa non sarebbe pignorabile da un creditore comune, ma l’Inps potrebbe comunque trattenere 200 euro al mese, riducendo quindi la pensione a 800 euro. Nel caso di una pensione da 700 euro, l’Inps potrebbe trattenere 140 euro, ma solo se l’importo residuo non scende sotto il minimo vitale, quindi potrebbe limitarsi a prelevare 102 euro al mese.
Questa disparità tra il trattamento ordinario e quello riservato all’Inps crea una situazione in cui il pensionato, pur avendo un debito verso l’Istituto, può trovarsi a dover affrontare una riduzione considerevole del proprio reddito, in contrasto con la protezione che altre normative offrono ai pensionati.
Ad oggi, non c’è alcun intervento legislativo che modifichi questa situazione, nonostante le differenze evidenti tra le pensioni di oggi e quelle di decenni fa. Un aggiornamento normativo che riequilibri il trattamento dei pensionati, per esempio abbassando il limite delle trattenute in favore dell’Inps, potrebbe essere necessario per garantire una protezione più adeguata alle condizioni economiche attuali.





