Una recente ordinanza della Cassazione cambia le regole: anche chi presenta la dichiarazione dei redditi oltre i 90 giorni può ottenere il rimborso.
La vita frenetica, con gli impegni di lavoro e la casa da gestire, spesso conducono a dimenticanze, con le scadenze che si accavallano. Anche la poca dimestichezza con la burocrazia fa a volte la sua parte e succede che alla fine la dichiarazione dei redditi finisce nel dimenticatoio. Un rischio che ha delle conseguenze come quella di non presentarla nei tempi previsti. A questo punto, cosa fare?
Fino a poco tempo fa, la risposta era piuttosto dura: chi superava i termini fissati dalla legge rischiava di perdere non solo la possibilità di sanare la propria posizione senza sanzioni pesanti, ma anche il diritto a vedersi riconosciuti eventuali crediti d’imposta.
La normativa italiana, infatti, distingue tra dichiarazione “tardiva” – presentata entro 90 giorni dalla scadenza – e dichiarazione “omessa”, cioè oltre tale limite. Nel primo caso il contribuente può mettersi in regola pagando sanzioni ridotte tramite il cosiddetto “ravvedimento operoso”. Nel secondo, invece, la situazione si complica: la dichiarazione viene considerata inesistente, con tutte le conseguenze del caso.
Eppure, una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha aperto uno spiraglio importante a favore dei contribuenti, offrendo una nuova interpretazione più favorevole su come ottenere i rimborsi fiscali anche se si rientra nel caso di dichiarazione omessa.
La svolta della Cassazione: il rimborso può essere chiesto direttamente
Secondo gli ultimi aggiornamenti, anche chi presenta la dichiarazione dei redditi oltre i 90 giorni potrebbe comunque vedersi riconosciuto un credito, purché rispetti alcune condizioni precise.

Innanzi tutto cerchiamo di capire la definizione: la dichiarazione dei redditi si considera omessa quando viene inviata all’Agenzia delle Entrate con oltre 90 giorni di ritardo rispetto al termine ordinario. Questo non significa che lo Stato “ignori” completamente il documento: la dichiarazione serve comunque a calcolare eventuali imposte dovute e a regolarizzare la posizione del contribuente. Il problema nasce quando, invece di un debito, emerge un credito.
Secondo l’interpretazione storica dell’Agenzia delle Entrate, in questi casi non bastava inserire il credito nella dichiarazione tardiva: era necessario presentare anche una specifica istanza di rimborso, cioè una domanda separata, prevista dall’articolo 38 del DPR 602/1973. Una procedura che si traduceva in un aggravio burocratico e, spesso, in un rischio di perdere le somme spettanti per mancanza di conoscenza o di tempestività.
Con l’Ordinanza n. 18715 del 9 luglio 2025, la Corte di Cassazione ha cambiato rotta, semplificando la vita ai contribuenti. I giudici hanno chiarito che, anche in caso di dichiarazione omessa, il diritto al rimborso può essere riconosciuto senza dover presentare un’ulteriore istanza separata.
La condizione, però, è che nella dichiarazione tardiva il contribuente non si limiti a segnalare il credito, ma formuli espressamente la richiesta di rimborso. In altre parole, basta scrivere nero su bianco, nella dichiarazione, che si desidera ricevere la restituzione delle imposte a credito. In questo modo, il documento stesso assume valore di domanda ufficiale.





