Una recente ordinanza della Cassazione riconosce la validità degli accordi prematrimoniali, aprendo nuove possibilità per le coppie italiane
Forse non tutti sanno che gli accordi prematrimoniali in Italia non sono mai stati accolti ufficialmente dal nostro ordinamento giuridico. Di solito sono stati sempre visti come un’americanata un pò stonata nel nostro contesto sociale. Ma qualcosa è cambiato. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha aperto uno spiraglio significativo, introducendo una nuova visione che potrebbe rivoluzionare il modo in cui le coppie italiane si avvicinano al matrimonio… e alla sua possibile fine.
Sostanzialmente, e comunque entro certi limiti, oggi è possibile stipulare un accordo tra coniugi per gestire in anticipo le conseguenze patrimoniali — e in parte anche personali — di un’eventuale separazione o divorzio.Non si tratta ancora di veri e propri “accordi prematrimoniali” come si intendono negli Stati Uniti, ma il principio si avvicina molto: prevenire anziché curare. In altre parole, pianificare con lucidità cosa accadrebbe “nel caso in cui”, in modo da tutelare entrambe le parti e ridurre i conflitti futuri.
Naturalmente non basta scrivere due righe su un foglio: questi accordi devono rispettare regole precise per essere validi. Ecco allora che vale la pena capire bene cosa ha deciso la Cassazione, cosa si può davvero fare, e soprattutto cosa invece resta vietato.
La decisione della Cassazione: cosa c’è da sapere
L’ordinanza n. 20415/2025 della Corte di Cassazione ha stabilito che gli accordi pre-divorzio possono essere validi se vengono inquadrati come “contratti atipici con condizione sospensiva lecita”. Detto in parole semplici, si tratta di un tipo di contratto che non è regolato in modo preciso dal Codice civile, ma che è comunque legittimo se ha uno scopo ritenuto meritevole di tutela, come ad esempio l’equità nella futura divisione dei beni o la serenità nella gestione familiare.

La “condizione sospensiva” è un meccanismo giuridico secondo cui l’efficacia dell’accordo dipende dal verificarsi di un evento futuro e incerto — in questo caso, la separazione o il divorzio. Solo quando (e se) la crisi matrimoniale si concretizza, l’accordo entra in vigore.
Questi patti, quindi, non servono a prepararsi a una crisi inevitabile, ma a gestire con maturità l’eventualità che possa verificarsi. Una forma di tutela, non un atto di sfiducia. Secondo la Cassazione, gli accordi pre-divorzio possono riguardare soprattutto questioni economiche: divisione dei beni, mantenimento del coniuge economicamente più debole, assegnazione della casa, ecc. In alcuni casi si possono inserire anche clausole relative ai figli, come la loro collocazione o i tempi di visita. Tuttavia, qui entra in gioco un principio fondamentale: i diritti dei figli sono sempre prioritari e indisponibili.
Questo significa che, anche in presenza di un accordo, il giudice può modificarne il contenuto se lo ritiene lesivo per i minori o per il coniuge in posizione svantaggiata. L’accordo deve dunque essere equilibrato, motivato, e non deve mai assumere carattere punitivo: non sono ammessi penali o clausole che limitano la libertà di scelta dei coniugi.





