La Corte di Cassazione ha ribadito un concetto chiave in tema di tutela psicofisica dei lavoratori. Cosa hanno sancito i Giudici.

Il lavoro è sempre più flessibile, caotico e la produttività e l’efficienza sembrano prevalere su qualsiasi altra esigenza. In tale cornice, il rispetto delle pause lavorative è cruciale per la tutela del benessere psicofisico dei dipendenti.

Non si tratta di un banale beneficio accessorio o di una concessione di mera cortesia da parte del datore di lavoro, bensì di un diritto, sancito dalla legge, indispensabile per la salute fisica e mentale di chi lavora.

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L’articolo 8 del decreto legislativo n.66 del 2003 è il fulcro della disciplina italiana in materia di pause lavorative. La legge sancisce che ogni lavoratore che svolge più di 6 ore continuative di attività ha diritto ad una pausa di almeno 10 minuti consecutivi.

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Tale break è destinato al recupero delle energie psicofisiche e alla riduzione dello stress generato dallo svolgimento dell’attività professionale continuativa, specie in luoghi lavorativi nei quali il ritmo è serrato e ad alta intensità, come il settore sanitario o i servizi di emergenza.

Il break può essere utilizzato dal lavoratore sia per consumare un pasto sia semplicemente per riposare, le modalità con cui, dunque, il lavoratore sceglie di fare la pausa sono frutto della sua discrezione, nel rispetto dei regolamenti aziendali.

Il principio cardine, però, non cambia: la pausa è un diritto e, il mancato rispetto costituisce una grave trasgressione della legge. La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 20249 del 2025 ha ribadito il principio, rafforzando ulteriormente la tutela dei lavoratori. Con tale provvedimento, La Corte ha stabilito che la reiterata omissione delle pause può causare un danno alla salute psicofisica del dipendente, anche in assenza di una prova clinica diretta.

Il Giudice può, dunque, riconoscere il danno basandosi su presunzioni fondate, tenendo conto della gravità e della durata dell’inadempimento. L’ordinanza è arrivata al culmine di un processo riguardante gli operatori dell’Azienda Regionale Emergenza Sanitaria Ares 118, i lavoratori avevano denunciato la negazione del diritto alla pausa minima, lamentando conseguenze gravi per la loro salute.

I Giudici hanno condannato il datore di lavoro al pagamento di una somma di denaro a titolo di risarcimento del danno per usura psicofisica. Il principio sancito dalla giurisprudenza è dunque inequivocabile: i datori di lavoro non possono ignorare o ridimensionare l’obbligo di garantire pause regolari ai propri dipendenti, nel caso in cui violino tale obbligo sono tenuti al risarcimento del danno.