Dopo la separazione, un partner che svuota il conto cointestato, spesso all’insaputa dell’altro. Un’azione lecita o un abuso?

Il comportamento di un partner che svuota un conto cointestato può avere un impatto significativo sul processo di separazione o divorzio. Se il prelievo avviene durante una fase critica, come prima della separazione o in un momento di crisi, il giudice potrebbe valutare tale comportamento nel determinare l’assegno di mantenimento, l’assegnazione della casa coniugale, e la divisione dei beni.

Nel caso di comunione legale dei beni, il prelievo unilaterale di fondi senza il consenso dell’altro partner può risultare particolarmente problematico, portando il giudice a disporre conguagli o altre compensazioni per ristabilire l’equilibrio patrimoniale tra le parti.

Prelievo senza consenso: è legale?

In un conto cointestato a firme disgiunte, ciascun partner ha il diritto di operare in autonomia. In altre parole, può prelevare denaro, effettuare bonifici, emettere assegni senza il consenso dell’altro cointestatario. Tuttavia, questo non implica che possa trattenere più della sua quota. Se i prelievi sono superiori alla parte che legittimamente spetta, si configura una violazione dei principi di comunione.

Prelievo senza consenso, legge
Prelievo senza consenso: cosa dice la legge – (diritto-lavoro.com)

L’articolo 1298 del Codice Civile stabilisce che, in mancanza di patti specifici, si presume che le quote siano uguali. Di conseguenza, se un partner preleva una somma che eccede la sua parte, questo può costituire un illecito civile, e l’altro partner può chiedere la restituzione delle somme sottratte.

Sebbene ogni partner abbia diritto al prelievo della propria parte, sottrarre somme superiori senza una giustificazione valida può risultare in una responsabilità civile. Se il prelievo danneggia l’altro cointestatario, quest’ultimo può avviare un’azione legale per ottenere un risarcimento.

In alcuni casi, la Cassazione ha sottolineato che se i prelievi sono stati effettuati per esigenze familiari, non sorge obbligo di restituzione, a meno che non emerga la titolarità esclusiva delle somme prelevate. Tuttavia, se il prelievo è stato fatto con l’intento di danneggiare l’altro partner, l’azione legale sarà mirata a risarcire il danno patrimoniale subito.

La ripetizione dell’indebito (articolo 2033 del Codice Civile) è l’azione legale più comune per richiedere la restituzione di somme prelevate senza giusta causa. In alternativa, è possibile avviare una procedura per la divisione dei beni presenti sul conto, utilizzando una presunzione di comunione. Il giudice, in caso di difficoltà nella ricostruzione dei versamenti, può decidere di avvalersi di un consulente contabile per una valutazione equa.

Se il comportamento dell’ex ha causato danni economici, come l’incapacità di far fronte a spese urgenti, si può chiedere anche il risarcimento del danno patrimoniale, con possibile richiesta di interessi o costi bancari.

In alcuni casi, il prelievo dal conto cointestato potrebbe configurare un reato, in particolare l’appropriazione indebita (articolo 646 del Codice Penale). Il reato si configura quando un partner si appropria indebitamente della parte dell’altro per ottenere un vantaggio ingiusto. La Cassazione ha precisato che il semplice prelievo, se fatto in buona fede, non costituisce reato, ma un prelievo consapevolmente illecito può essere punito con la reclusione fino a tre anni.

Chi intende impugnare un prelievo deve prima di tutto fornire prove concrete che il denaro prelevato ecceda la quota spettante. La ricostruzione dei movimenti bancari attraverso gli estratti conto è fondamentale, e, se necessario, si possono utilizzare documenti esterni (come buste paga o dichiarazioni fiscali) per dimostrare che la somma prelevata non apparteneva esclusivamente al partner che ha prelevato.