Un sostegno economico per i cittadini italiani in condizioni di difficoltà economica, privi di redditi o con entrate molto basse

Anche se comunemente viene ancora chiamato “pensione sociale”, la denominazione ufficiale è cambiata dal 1996, pur mantenendo lo stesso obiettivo: garantire un minimo vitale agli over 67 che non possono contare su altre forme di sostentamento.

Per il 2025, l’importo dell’assegno sociale arriva fino a 538,68 euro al mese per 13 mensilità. Per chi ha compiuto 70 anni, l’importo può essere maggiorato fino a 739,83 euro mensili, sempre in base alla situazione reddituale. Tuttavia, non tutti ricevono l’importo pieno: chi possiede redditi, pur se inferiori al limite stabilito dalla legge, può accedere a una versione ridotta del beneficio.

Pensione sociale: attenti all’errore

Sebbene la valutazione dei redditi sia centrale per determinare l’accesso all’assegno sociale, non è l’unico criterio. Un elemento spesso trascurato ma fondamentale è lo stato di bisogno effettivo del richiedente. In altre parole, non basta avere un reddito basso per ottenere il sostegno: bisogna anche trovarsi realmente in una situazione in cui non si è in grado di provvedere autonomamente alle necessità quotidiane.

Revoca pensione sociale
La revoca dell’assegno sociale – (diritto-lavoro.com)

Chi non versa in stato di bisogno, anche se rientra nei limiti reddituali, può vedersi negare l’assegno sociale. Questa condizione viene generalmente presunta quando i redditi annuali sono inferiori alla soglia stabilita (per il 2025, 7.002,84 euro per singoli e 14.005,68 euro per coniugati), ma in alcuni casi, l’INPS può accertare che il richiedente dispone di altre forme di sostentamento, anche non ufficiali, e respingere la domanda.

Nella valutazione dell’INPS non rientrano tutte le fonti economiche. Ad esempio, la prima casa non viene conteggiata come reddito, così come non si considerano redditi potenziali o ipotetici. Non hanno peso nemmeno le eventuali obbligazioni alimentari che altri soggetti (come i figli) potrebbero avere verso il richiedente, né le cause che hanno portato allo stato di bisogno. Ciò che conta è l’esistenza attuale di una situazione economica di reale necessità.

Anche chi ha donato immobili o ha rinunciato volontariamente a un assegno di mantenimento in fase di separazione, può comunque accedere all’assegno sociale, purché oggi si trovi in una situazione di bisogno effettivo. È il concetto di “bisogno oggettivo” a prevalere, come confermato da numerose sentenze della Corte di Cassazione.

La Corte di Cassazione ha più volte chiarito che l’assegno sociale spetta anche a chi, pur avendo avuto in passato delle possibilità economiche, oggi vive una condizione di precarietà. Le sentenze n. 1081/2015, n. 14513/2020, n. 7235/2023, n. 22755/2024 e n. 33513/2023, tra le altre, stabiliscono che il diritto a questo beneficio si fonda esclusivamente sullo stato di bisogno attuale, senza che il richiedente debba dimostrare di essere arrivato a tale condizione “senza colpa”.

In pratica, non è necessario dimostrare di aver fatto tutto il possibile per evitare la povertà. La legge non impone, ad esempio, di intentare cause per ottenere assegni di mantenimento non pagati, né di rivalersi sui parenti obbligati a fornire alimenti.

L’INPS ha facoltà di revocare l’assegno sociale se riscontra che il richiedente ha percepito indebitamente il sussidio, ad esempio nascosti redditi in nero o presentato dichiarazioni false. Tuttavia, per procedere al recupero delle somme, l’Istituto deve dimostrare l’assenza dei requisiti e la mancanza di buona fede del beneficiario.

Al contrario, se l’assegno viene negato per motivi legati alla presunta assenza di bisogno, è consigliabile rivolgersi a un avvocato. In molti casi, i ricorsi si concludono con l’accoglimento delle richieste dei cittadini, soprattutto quando è evidente che le condizioni di vita non consentono una sussistenza dignitosa.