La partita sulle pensioni del 2026 entra nel vivo. Il consiglio che vi diamo oggi è quello di prepararvi per tempo alla quiescenza
Molti lavoratori, soprattutto chi conta di andare in pensione tra dodici mesi, attendono con ansia novità normative. Il quadro attuale non prevede una riforma globale, ma l’introduzione o la sospensione di alcune misure potrebbe cambiare le carte in tavola. In questo contesto, alcuni rischiano di restare esclusi, mentre altri potrebbero usufruire di strumenti aggiuntivi inattesi.
Il 2026 non sarà l’anno della grande riforma delle pensioni, ma rischia di riservare molte sorprese sul fronte operativo: dalla revisione di misure già attive all’estensione di strumenti previdenziali. Chi punta a una pensione anticipata dovrà osservare con attenzione l’evoluzione delle normative, specie riguardo all’accesso al regime contributivo e all’uso della previdenza integrativa.
Pensioni: cosa cambierà?
Il principio base rimane saldo: la pensione di vecchiaia nel 2026 sarà ancora accessibile a 67 anni con almeno 20 anni di contributi, come per i nati nel 1959. Chi ha iniziato a lavorare dopo il 31 dicembre 1995 dovrà soddisfare anche il requisito dell’importo minimo, pari almeno all’assegno sociale.

Per la pensione anticipata, restano valide le soglie contributive attuali: 42 anni e 10 mesi per gli uomini, 41 anni e 10 mesi per le donne. Le misure speciali, inoltre, restano operative: Quota 41 per chi ha versato almeno un anno di contributi entro i 19 anni, e l’Ape Sociale a 63 anni e 5 mesi per caregiver, disoccupati, invalidi o lavoratori impegnati in attività usuranti.
La cosiddetta “pensione contributiva anticipata a 64 anni” anche nel 2026 resta un’opzione per chi non ha contributi prima del 1996. Per usufruirne è necessario aver versato almeno 20 anni e percepire una pensione di importo non inferiore a tre volte l’assegno sociale (ma con riduzioni per le donne con figli).
In prospettiva c’è l’intenzione di estendere il beneficio anche ai lavoratori con contributi antecedenti al 1996, purché optino per un calcolo interamente contributivo. Di fatto, anche chi è nato intorno al 1962 potrebbe andare in pensione con queste regole, anche se con un eventuale aumento del requisito contributivo fino a 25 anni, qualora inserito nella regolamentazione finale.
Tra le misure sotto la scure del legislatore troviamo Quota 103 e Opzione Donna. La prima consente l’uscita anticipata a 62 anni con 41 anni di contributi, ma è penalizzata da calcolo contributivo e limiti sull’importo e il cumulo. Per questi motivi pare probabile che non sarà rinnovata nel 2026.
Opzione Donna, che permette alle lavoratrici di andare in pensione anticipata con condizioni analoghe ma con assegno fortemente decurtato, potrebbe condividere la stessa sorte: scalpita chi l’ha già scelta, ma l’uso nel tempo diminuito la rende a rischio sospensione .
Nel corso del 2026 potrebbe rafforzarsi il ruolo della previdenza complementare nel sistema pensionistico. L’idea è favorire chi raggiunge la pensione anticipata sfruttando anche la rendita proveniente dai fondi pensione. Altresì, si vorrebbe incentivare il trasferimento del TFR ai fondi integrativi, aumentando l’efficacia della combinazione pubblico-privato. Gli aderenti ai fondi complementari potrebbero così integrare le prestazioni pubbliche, agevolando l’ingresso in pensione, soprattutto a chi rischia di non soddisfare il requisito economico minimo.





