Attenzione a pubblicare le foto dei nostri figli online. Oggi una sentenza cambia tutto quello che pensavamo di sapere
Il fenomeno dello “sharenting” – ovvero la condivisione massiva di contenuti dei figli sui social – può sembrare innocua, ma nasconde insidie concrete. Le immagini diventano potenzialmente reperibili a presunti malintenzionati: dalla pedopornografia al furto d’identità digitale.
Oggi, il Tribunale civile di Milano ha introdotto un principio innovativo sul piano giuridico: i genitori sono i “custodi” delle immagini dei propri figli e ne rispondono anche penalmente qualora tali contenuti vengano condivisi sui social, anche inavvertitamente.
Il caso e la pronuncia
La vicenda nasce da una disputa familiare: due genitori si erano accusati a vicenda della pubblicazione di foto o video dei figli minori su Facebook senza consenso. Il tribunale, dopo aver esaminato il caso, ha stabilito un principio chiaro e stringente: ogni immagine digitale realizzata da chi esercita la responsabilità genitoriale è soggetta alla tutela normata e il suo utilizzo in Rete può violare leggi rilevanti, rendendo il genitore direttamente responsabile.

La decisione attinge a un impianto legislativo già esistente e ben articolato. Il Codice civile (1948) tutela la dignità e il decoro di ogni individuo, subordinando l’uso delle immagini a un consenso specifico. Il Codice penale (1930) prevede sanzioni per chi offende la reputazione o la dignità altrui, anche tramite diffusione illecita d’immagini. La legge sul diritto d’autore (1941) disciplina l’immagine come opera fotografica o audiovisiva, affermando che il ritratto è proprietà del soggetto rappresentato, non di chi ne fa uso.
Il tribunale ha segnalato anche il possibile utilizzo degli articoli relativi al trattamento illecito di dati personali e all’art. 650 (violazione di norme) del Codice penale, prevedendo sanzioni fino a tre mesi di arresto o una multa fino a 206 euro. Uno dei punti più significativi della sentenza riguarda la responsabilità per ogni forma di pubblicazione: scatti fatti di proposito, errori tecnici o post accidentali generano la stessa responsabilità. Non conta l’intenzione: ogni uscito di foto o video, anche non voluto, espone al rischio di violazione penale.
Senza stilare un elenco esaustivo di condotte ammesse o vietate, il Tribunale richiama il dovere generale di vigilanza: ogni decisione di pubblicare o meno una foto deve essere valutata con attenzione, ponderando decoro, dignità e sicurezza del bambino. È quindi un appellativo all’educazione digitale: la prudenza non è facoltativa, ma un obbligo legale. L’esortazione è forte: non basta amare i propri figli, bisogna anche difenderli dall’esposizione potenzialmente dannosa che può generare conseguenze sul lungo termine. Pensare alle foto di una vacanza o di un giorno felice come a dati sensibili significa ridare valore alla privacy infantile e prevenire futuri malintenzionati.





