Per milioni di lavoratori italiani nati dopo il 1960, il futuro pensionistico si preannuncia ben più incerto e penalizzante

Le regole del sistema previdenziale italiano stanno cambiando, e i più giovani dovranno fare i conti con riforme strutturali, un’età pensionabile in aumento e rendimenti previdenziali più bassi.

Come vedremo, per chi è nato dopo il 1960, nulla sarà come prima. Il sistema pensionistico italiano sta attraversando una fase di transizione epocale, e solo una pianificazione previdenziale consapevole e tempestiva potrà evitare brutte sorprese negli anni della vecchiaia.

Pensioni: vita dura per chi è nato dopo il 1960

A partire dal 2027, l’età per accedere alla pensione di vecchiaia subirà un nuovo aumento: si passerà da 67 a 67 anni e 3 mesi. Lo ha confermato il direttore generale dell’INPS, Valerio Vittimberga, spiegando che l’adeguamento è frutto dell’applicazione della legge Fornero, che lega l’età pensionabile all’aspettativa di vita. Questo adeguamento non riguarda solo la pensione di vecchiaia, ma anche quella anticipata: per potervi accedere saranno richiesti 43 anni e un mese di contributi per gli uomini, e un anno in meno per le donne.

Cambiamenti pensioni
Problemi per chi è nato dopo gli anni ’60 – (diritto-lavoro.com)

Il governo, in teoria, potrebbe decidere di bloccare l’aumento dell’età pensionabile, ma l’operazione avrebbe un costo significativo per le casse pubbliche: si stima una spesa intorno ai 4 miliardi di euro. Per questo motivo, l’ipotesi di uno stop appare al momento remota. Qualsiasi eventuale intervento in tal senso dovrebbe comunque essere previsto nella legge di Bilancio del 2026, da approvare entro la fine del 2025.

Il vero nodo critico, però, riguarda i lavoratori nati dopo il 1964. Per loro, le prospettive previdenziali peggiorano drasticamente. Coloro che andranno in pensione tra il 2031 e il 2062 rischiano di percepire un assegno pensionistico pari alla metà del loro ultimo stipendio. Si tratta di una drastica riduzione del cosiddetto tasso di sostituzione, ovvero il rapporto tra l’ultima retribuzione percepita e l’importo della pensione.

Il motivo è principalmente legato al passaggio al sistema contributivo puro, che penalizza fortemente coloro che hanno carriere lavorative discontinue, salari bassi o lunghi periodi di disoccupazione. La stabilità lavorativa, un tempo prerogativa delle generazioni precedenti, è oggi sempre più rara, e questo incide direttamente sulla capacità di accumulare contributi sufficienti per una pensione dignitosa.

Particolarmente colpiti saranno i membri della cosiddetta Generazione X, ovvero coloro nati tra il 1965 e il 1980. Questa fascia di popolazione ha vissuto l’impatto di profonde trasformazioni del mercato del lavoro, con la diffusione del precariato e della flessibilità contrattuale. Molti di loro hanno avuto carriere frammentate, con interruzioni frequenti o periodi di lavoro autonomo, spesso scarsamente tutelato dal punto di vista contributivo.

Per questi lavoratori, il futuro potrebbe significare dover lavorare ben oltre i 67 anni per riuscire a maturare una pensione che consenta una vita dignitosa. In alcuni casi, potrebbero rendersi necessarie forme di previdenza complementare o risparmi privati per compensare il calo previsto nell’importo dell’assegno pubblico.

Alla luce di queste prospettive, appare sempre più urgente una riflessione sulle politiche previdenziali del futuro. Alcuni esperti auspicano una revisione del sistema, che tenga conto delle mutate condizioni del mercato del lavoro e introduca forme di tutela per chi ha avuto carriere irregolari. Altri propongono incentivi alla previdenza integrativa e maggiore flessibilità nei requisiti di accesso alla pensione.