Assegno di mantenimento e impossibilità reale di adempiere: la Cassazione annulla la sentenza d’appello.
La Corte di Cassazione è intervenuta nuovamente su un tema particolarmente delicato: il mancato versamento dell’assegno di mantenimento da parte del coniuge obbligato. Con la sentenza n. 883/2025 della Sesta Sezione Penale, i giudici hanno annullato la decisione della Corte d’Appello di Catanzaro, disponendo un nuovo giudizio alla luce delle condizioni economiche e abitative dell’imputato.
Il caso riguardava un uomo condannato per non aver corrisposto alla ex moglie l’assegno stabilito in sede civile, pari a 450 euro al mese. Dopo una prima condanna, la Corte d’Appello aveva confermato la pena di 20 giorni di reclusione, ignorando le circostanze che rendevano di fatto impossibile l’adempimento.
Divorzio, addio assegno di mantenimento: non devi più versarlo se hai questi requisiti
Gli atti del processo descrivono una situazione di estrema precarietà. Tra il 2016 e il 2020 l’imputato ha dichiarato redditi annui oscillanti tra i 5.700 e gli 8.900 euro, somme del tutto insufficienti a garantire una vita decorosa. Dopo la separazione, ha vissuto ospite da parenti o in sistemazioni di fortuna, arrivando persino a risiedere in un garage privo di acqua e corrente elettrica.

La sua condizione era nota anche ai servizi sociali, che lo avevano inserito in un progetto PON destinato a contrastare la povertà e la condizione di senza fissa dimora. Inoltre, in un procedimento precedente per fatti simili, la magistratura aveva disposto l’archiviazione proprio per l’assenza di mezzi economici e di un’occupazione stabile.
La questione centrale riguarda l’interpretazione dell’articolo 12 sexies della legge sul divorzio, che punisce chi non rispetta gli obblighi di mantenimento. La giurisprudenza, tuttavia, distingue con precisione la semplice difficoltà economica, che non esonera dal dovere di versare l’assegno, dall’impossibilità assoluta, la quale, rendendo l’adempimento impraticabile senza compromettere la sopravvivenza stessa dell’obbligato, esclude la responsabilità penale.
La Cassazione, accogliendo in parte il ricorso, ha sottolineato che i giudici di appello non avevano esaminato adeguatamente le prove fornite dalla difesa, né avevano dato conto delle relazioni dei servizi sociali o dei precedenti decreti di archiviazione.
Un altro punto chiarito riguarda la prescrizione. La Corte ha ribadito che il mancato pagamento dell’assegno non si esaurisce in un singolo episodio, ma costituisce un reato a consumazione prolungata, la condotta omissiva si rinnova di mese in mese e continua fino al saldo integrale o fino alla sentenza di primo grado. Pertanto, contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa, il reato non era ancora prescritto al momento della decisione d’appello.
Secondo la Suprema Corte, la motivazione della sentenza d’appello era carente anche sul piano temporale, non era stato spiegato con chiarezza da quale momento l’imputato avrebbe avuto la possibilità di adempiere consapevolmente, né si era tenuto conto della persistenza della sua condizione di indigenza.
Per questo motivo, la sentenza è stata annullata con rinvio, lasciando alla Corte d’Appello il compito di riesaminare la vicenda e valutare concretamente se l’imputato fosse in grado di adempiere almeno parzialmente, o se fosse opportuno convertire la pena detentiva in una sanzione pecuniaria.
La pronuncia non si limita a un aspetto tecnico, ma ribadisce un principio di equilibrio tra diritti contrapposti: da un lato la tutela dei beneficiari dell’assegno, spesso minori o ex coniugi privi di mezzi; dall’altro, il riconoscimento che un obbligo economico non può spingersi fino al punto di negare all’obbligato una vita dignitosa.





