Nel contesto attuale, in cui la comunicazione digitale è parte integrante della vita quotidiana, la condivisione di screenshot di conversazioni private rappresenta un tema di grande rilevanza giuridica. Molti utenti non sono consapevoli che questa pratica può costituire un reato e comportare conseguenze legali anche gravi per chi diffonde tali contenuti senza autorizzazione. Il presente articolo approfondisce quando e perché condividere screenshot di chat private può configurare una violazione della legge, analizzando i rischi penali e civili, con particolare attenzione agli aggiornamenti normativi e giurisprudenziali più recenti.
Il principio fondamentale da considerare è che la corrispondenza, intesa in senso ampio, comprende non solo la corrispondenza tradizionale, ma anche chat, messaggi e conversazioni digitali come WhatsApp, Facebook Messenger o Instagram Direct. La normativa italiana tutela la riservatezza di tali comunicazioni con l’articolo 15 della Costituzione, che sancisce l’inviolabilità della libertà e segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione, limitabile solo da un provvedimento motivato dell’autorità giudiziaria.
In ambito penale, l’articolo 616 del Codice penale punisce la violazione, sottrazione e soppressione della corrispondenza con pene fino a un anno di reclusione e ammende da 30 a 516 euro. Chi partecipa a una conversazione può acquisire uno screenshot o registrare la conversazione stessa; questo non è di per sé illecito. Tuttavia, la diffusione senza consenso del materiale privato può configurare un reato, soprattutto se provoca un danno alla vittima, con pene che possono arrivare fino a 3 anni di reclusione.
La giurisprudenza ha confermato che la diffusione non autorizzata di conversazioni private rappresenta una violazione della privacy e può integrare reati diversi, quali:
- Diffamazione (art. 595 c.p.), quando la reputazione della persona viene lesa attraverso la pubblicazione su social o altri mezzi di comunicazione;
- Diffusione fraudolenta di registrazioni o riprese (art. 617 septies c.p.), con pene fino a 4 anni se la diffusione ha l’intento di danneggiare la reputazione della vittima;
- Rivelazione del contenuto di corrispondenza (art. 618 c.p.), punito con reclusione fino a 6 mesi o multa.
Screenshot di chat private: rischi legali e tutela della privacy
Acquisire uno screenshot di una chat privata è lecito se si è parte della conversazione, ma la sua condivisione senza consenso può essere considerata un illecito penale e civile. La differenza sostanziale risiede nel contenuto dello screenshot e nelle modalità di diffusione.
In particolare, la condivisione diventa reato quando:
- Il contenuto rivela dati personali sensibili o informazioni private come orientamento sessuale, stato di salute, indirizzo di residenza o contatti personali;
- La diffusione avviene su vasta scala, ad esempio tramite social network, configurando un’aggravante per la capacità di raggiungere un pubblico indefinito;
- La diffusione è finalizzata a ledere la reputazione o a umiliare la vittima pubblicamente.
A tal proposito, la normativa italiana ha rafforzato la tutela contro la diffusione di materiale intimo senza consenso tramite l’introduzione dell’articolo 612-ter c.p. che punisce il revenge porn o pornovendetta, con pene da 1 a 6 anni di reclusione e sanzioni pecuniarie da 5.000 a 15.000 euro. Tale norma è entrata in vigore nel 2019 e tutela le vittime dalla diffusione non autorizzata di immagini o video sessualmente espliciti, fenomeno che colpisce soprattutto le donne.
La vittima di una diffusione illecita di screenshot può rivolgersi al Garante per la privacy per segnalare il trattamento illecito dei dati personali, oltre ad agire in sede civile per ottenere il risarcimento del danno patrimoniale, morale ed esistenziale e la rimozione del contenuto diffuso.

La condivisione reiterata e molesta di screenshot o conversazioni private può rientrare nel fenomeno dello stalking o atti persecutori (art. 612-bis c.p.). Lo stalking si configura quando la vittima è sottoposta a condotte tali da generare ansia, paura o costringerla a modificare le proprie abitudini di vita.
Nel caso in cui la diffusione di screenshot sia solo uno degli strumenti usati per molestare o intimidire la vittima, il responsabile può essere perseguito penalmente con pene che variano da 1 a 6 anni di reclusione, con aggravanti in caso di violenza o minacce gravi. La giurisprudenza riconosce che le molestie possono avvenire anche tramite mezzi digitali, dove la condivisione di screenshot diventa uno strumento di persecuzione psicologica.
Un ulteriore aggravante è rappresentata dalla diffusione di contenuti sessualmente espliciti senza consenso, che rientra nel revenge porn e può essere associata a condotte di stalking aggravato.
Quando condividere chat private è legittimo
La legge prevede alcune eccezioni in cui la diffusione di screenshot o registrazioni di conversazioni private è lecita, ad esempio:
- Per esercizio di un diritto o adempimento di un dovere, come nel caso di esibizione in tribunale a supporto di una prova;
- Per la tutela della propria reputazione in caso di diffamazione o ingiustizie subite;
- Quando la diffusione è motivata da un interesse pubblico rilevante e rispettoso delle norme sulla protezione dei dati personali.
In questi casi, la condivisione deve avvenire nel rispetto dei limiti di necessità e proporzionalità, evitando l’eccessiva esposizione dei dati personali.
Screenshot e social network: un binomio a rischio
La condivisione di screenshot di conversazioni private sui social network è particolarmente pericolosa dal punto di vista legale. Poiché i social rappresentano un mezzo di comunicazione di massa, la diffusione di contenuti privati senza consenso può configurare reati aggravati, con pene fino a 4 anni di reclusione e multe a partire da 516 euro.
Oltre alla sfera penale, la vittima può agire in sede civile per ottenere la rimozione del contenuto e un risarcimento per danni morali e materiali.
È importante sottolineare che anche chi riceve uno screenshot di conversazioni private non può divulgarlo ulteriormente senza giusta causa, pena la responsabilità penale prevista dall’articolo 618 del Codice penale.





