La vicenda di un maresciallo della Guardia di Finanza riporta in auge il discorso riguardante dipendenti pubblici e partita IVA
Il militare era stato sanzionato nel 2018 con una penalità di quattro giorni di consegna per aver posseduto una partita IVA finalizzata alla coltivazione di ulivi. Quella vicenda si è conclusa con una vittoria per il finanziere, che ha visto annullata la sanzione.
Nel 2018, il Comando provinciale della Guardia di Finanza aveva inflitto al maresciallo una sanzione disciplinare per la sua attività agricola, ritenuta incompatibile con il ruolo militare. In particolare, il provvedimento era stato preso in seguito al fatto che il maresciallo non avesse comunicato la sua partita IVA attiva dal 2008, relativa alla coltivazione di ulivi destinata esclusivamente all’autoconsumo familiare.
La circolare n. 200000/109/4 del 2005 stabiliva che tra le attività incompatibili con il servizio nel Corpo figurassero anche quelle di coltivatore diretto. Di conseguenza, la produzione di olio, anche se destinata all’autoconsumo e di modesta entità, veniva vista come una violazione delle disposizioni interne. Inoltre, il maresciallo non aveva comunicato l’esistenza della partita IVA durante i controlli periodici interni.
Il maresciallo, tuttavia, ha ritenuto ingiusta la sanzione e ha presentato un ricorso, sostenendo che l’attività fosse puramente personale e limitata alla produzione di olio per la sua famiglia. Il ricorso gerarchico, presentato per contestare il provvedimento, è stato tuttavia respinto dal Comando provinciale, che ha confermato la sanzione.
Di conseguenza, il maresciallo ha deciso di portare il caso davanti al Tribunale Amministrativo Regionale (TAR) del Lazio, sperando di ottenere un esito favorevole.
La sentenza del TAR: accoglimento del ricorso
Il TAR ha accolto il ricorso del maresciallo, annullando la sanzione e dichiarando che l’azione disciplinare era sproporzionata rispetto alla condotta contestata. La Corte ha inoltre sottolineato che la circolare interna della Guardia di Finanza non aveva un valore normativo superiore alle leggi statali. Il TAR ha ritenuto che la sanzione disciplinare fosse stata inflitta senza un adeguato fondamento giuridico, poiché non esisteva una legge che vietasse a un militare di possedere una partita IVA per una coltivazione destinata all’autoconsumo.

Nonostante la sentenza favorevole al maresciallo, il Ministero dell’Economia e delle Finanze e il Comando Generale della Guardia di Finanza hanno deciso di presentare appello al Consiglio di Stato. Tuttavia, il loro tentativo di impugnare la decisione del TAR è stato ostacolato da un errore procedurale. Il primo tentativo di invio dell’atto di appello via PEC non è andato a buon fine a causa di un errore nell’indirizzo del destinatario, mentre il secondo tentativo è stato effettuato dopo la scadenza del termine di 60 giorni previsto dalla legge.
Il Consiglio di Stato ha dichiarato l’appello irricevibile, in quanto la notifica dell’atto non è stata effettuata correttamente e il termine per l’impugnazione è stato superato. Pur non essendo necessario ai fini decisori, il Consiglio di Stato ha anche voluto esprimersi nel merito della questione. Secondo i giudici, la normativa vigente non vieta esplicitamente ai dipendenti pubblici, inclusi i militari, di intraprendere attività agricole non professionali, né tantomeno di aprire una partita IVA per la gestione di un fondo agricolo.
Oltre a dichiarare irricevibile l’appello, il Consiglio di Stato ha condannato le amministrazioni appellanti al rimborso delle spese legali sostenute dal maresciallo durante il secondo grado del processo. Le spese sono state quantificate in 4.000 euro, più spese generali e accessori di legge.





