Una nuova sentenza della Corte Costituzionale rivoluziona il trattamento pensionistico degli invalidi, garantendo a tutti un assegno minimo.

Questa decisione storica interviene a correggere le disparità generate dalla riforma Dini del 1995, che ha penalizzato una parte consistente di pensionati, in particolare coloro i cui assegni sono calcolati interamente con il sistema contributivo.

Ricevere una pensione inferiore a 600 euro al mese rappresenta una realtà purtroppo diffusa per milioni di pensionati italiani, specialmente per chi percepisce una pensione di invalidità. La situazione è aggravata dal sistema di calcolo contributivo introdotto dalla riforma Dini (legge 8 agosto 1995, n. 335), che ha segnato una netta cesura tra i lavoratori che avevano maturato almeno 18 anni di contributi al 31 dicembre 1995 e chi ha iniziato a versarli successivamente.

Prima della riforma, infatti, la pensione veniva calcolata con il metodo retributivo, che considerava la media delle ultime retribuzioni, garantendo così assegni più elevati e maggiori integrazioni, come le maggiorazioni sociali e l’integrazione al trattamento minimo. Dopo la riforma Dini, invece, chi non aveva almeno 18 anni di contributi a fine 1995 ha cominciato a vedere il proprio assegno calcolato con il sistema contributivo puro, basato esclusivamente sui contributi effettivamente versati e rivalutati, senza alcuna integrazione o maggiorazione.

Questo meccanismo ha provocato una disparità sostanziale e spesso ingiusta, soprattutto per le categorie più fragili come gli invalidi, che si sono trovati con pensioni estremamente basse, spesso inferiori alla soglia di dignità economica.

La sentenza della Corte Costituzionale n. 94/2025: la svolta per le pensioni di invalidità

La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 94 dell’11 giugno 2025, ha dichiarato incostituzionale l’esclusione delle pensioni interamente contributive dal diritto all’integrazione al trattamento minimo prevista dall’articolo 1, comma 16, della legge 8 agosto 1995, n. 335, ossia la riforma Dini stessa.

Da ora in poi, anche gli invalidi con pensioni calcolate esclusivamente con il metodo contributivo hanno diritto a ricevere l’integrazione al trattamento minimo INPS, pari a 603,40 euro mensili per il 2025. Questo vale per tutti coloro che percepiscono l’assegno ordinario di invalidità e che finora erano esclusi da tale beneficio.

La sentenza ha accolto il ricorso promosso dalla Corte di Cassazione, riconoscendo che la discriminazione tra pensionati con sistema retributivo o misto e quelli con sistema contributivo puro non è più giustificabile. La decisione rappresenta un importante passo verso l’equità tra generazioni e categorie di pensionati, garantendo un trattamento economico più giusto per oltre un milione di invalidi.

È importante sottolineare che la sentenza della Consulta ha efficacia solo per le pensioni di invalidità future: non è prevista alcuna forma di arretrato per gli assegni già erogati, né per i trattamenti che, alla luce della novità, risultassero inferiori all’importo minimo stabilito. Questa limitazione temporale riduce l’impatto economico immediato, ma rappresenta comunque un cambiamento strutturale destinato a migliorare la qualità della vita di molti pensionati invalidi.

La decisione elimina una delle discriminazioni più gravi ereditate dalla riforma Dini, che aveva stabilito l’esclusione dall’integrazione al trattamento minimo per le pensioni calcolate interamente con il sistema contributivo, un meccanismo introdotto per la prima volta nel sistema previdenziale italiano con la legge 335/1995.

Il sistema contributivo e la riforma Dini: un cambio epocale nel calcolo delle pensioni

Per comprendere appieno la portata della sentenza, è utile ripercorrere brevemente le caratteristiche della riforma Dini. Questa legge ha introdotto il sistema di calcolo contributivo a capitalizzazione simulata, sostituendo gradualmente il tradizionale metodo retributivo.

In sintesi:

  • Chi al 31 dicembre 1995 vantava almeno 18 anni di contributi ha mantenuto il sistema retributivo fino al 2011, con un calcolo misto successivamente.
  • Chi aveva meno di 18 anni di contributi a fine 1995 ha visto applicato il metodo pro-rata, che combina retributivo e contributivo.
  • Chi ha iniziato a lavorare dopo il 1996 ha un assegno calcolato esclusivamente con il sistema contributivo.

Il sistema contributivo è più equo dal punto di vista del rapporto tra contributi versati e pensione percepita, ma tende a generare assegni più bassi e non prevede, di norma, integrazioni o maggiorazioni sociali, penalizzando così soprattutto i soggetti con carriere lavorative discontinue o redditi bassi.

La riforma Dini ha rappresentato un primo, fondamentale passo verso la sostenibilità finanziaria del sistema pensionistico, ma ha anche creato disparità e criticità che si sono manifestate nel tempo, come evidenziato dalla sentenza della Corte Costituzionale.

La riforma Fornero del 2011 ha poi completato il passaggio al sistema contributivo per tutte le anzianità maturate dopo il 2012, consolidando il nuovo modello previdenziale.