Una rivoluzione è in arrivo per il Trattamento di Fine Rapporto (TFR), una delle componenti fondamentali del sistema retributivo italiano
La Legge di Bilancio 2025 introduce una svolta che cambierà radicalmente la destinazione e la gestione di questa indennità, destinata fino ad oggi ai lavoratori al termine del loro rapporto di lavoro. Le nuove misure puntano a spostare progressivamente il TFR verso la previdenza complementare, con l’obiettivo di rafforzare le pensioni future e alleggerire il peso sulle finanze pubbliche.
I lavoratori italiani si troveranno presto davanti a una nuova realtà: quella di un TFR non più come “liquidazione” ma come strumento per costruire un futuro previdenziale più solido, ma anche meno disponibile nel breve termine. Il consiglio è uno solo: informarsi, valutare attentamente le opzioni e prendere decisioni consapevoli, in un contesto che si fa sempre più complesso e strategico per la propria sicurezza economica.
TFR: cambia tutto
Il cambiamento più rilevante riguarda i nuovi assunti, per i quali il 25% del TFR sarà automaticamente destinato ai fondi pensione. Questo passaggio, che diventa vincolante salvo diverse indicazioni del lavoratore, segna un passaggio deciso verso un modello di previdenza integrativa più strutturato e diffuso. I dipendenti potranno aumentare questa quota in modo volontario, costruendo così una pensione più solida fin dai primi anni di carriera.

Accanto a questa novità, viene introdotto anche il meccanismo del “silenzio-assenso”. In pratica, i lavoratori avranno sei mesi di tempo per esprimere una preferenza: mantenere il TFR in azienda o farlo confluire in un fondo pensione. Se entro questo termine non verrà comunicata alcuna scelta, scatterà in automatico il trasferimento al fondo pensione. La decisione sarà definitiva, senza possibilità di revoca. Questo strumento, già usato in passato in ambito previdenziale, mira a incentivare l’adesione ai fondi complementari sfruttando la mancanza di iniziativa come leva di cambiamento.
L’obiettivo del governo è duplice: da un lato, rafforzare la previdenza complementare in un Paese dove l’adesione ai fondi pensione è ancora limitata; dall’altro, assicurare maggiore sostenibilità al sistema pensionistico pubblico, oggi sotto pressione per l’invecchiamento della popolazione e la riduzione del numero di contribuenti attivi. Destinare parte del TFR ai fondi integrativi significa creare un secondo pilastro previdenziale più solido, che affianchi la pensione pubblica in modo più efficace.
Tuttavia, questa riforma comporta anche alcune criticità e interrogativi. Una delle questioni più discusse riguarda la possibilità, finora garantita, di richiedere anticipi sul TFR per esigenze personali – come spese sanitarie, ristrutturazioni o l’acquisto della prima casa. Se il TFR verrà progressivamente incanalato nei fondi pensione, tali anticipi potrebbero non essere più disponibili o comunque soggetti a regole più rigide. Inoltre, la gestione dei fondi da parte dell’INPS potrebbe portare a nuove dinamiche nella liquidazione delle somme, dilazionando nel tempo il pagamento di quanto spettante.
Non mancano le preoccupazioni anche da parte dei sindacati e delle associazioni dei lavoratori, che temono una riduzione dell’autonomia nella gestione delle proprie spettanze e una perdita di potere decisionale. Il TFR, infatti, è sempre stato percepito come una forma di risparmio forzato ma personale, da utilizzare liberamente una volta concluso il rapporto lavorativo. La sua trasformazione in un contributo previdenziale obbligatorio rappresenta un cambiamento culturale e funzionale di grande portata.
Dal punto di vista politico, il dibattito è ancora acceso. Alcuni sostengono che si tratti di una riforma necessaria e lungimirante, pensata per adattare il sistema italiano alle sfide demografiche del futuro. Altri, invece, chiedono maggiore flessibilità e tutele per i lavoratori, affinché la libertà di scelta venga realmente garantita.





