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La sanità italiana è in crisi. La pandemia di Covid non ha insegnato nulla. L’ultima relazione della Corte dei conti al Parlamento ha messo in fila i dati: il fondo sanitario nazionale è più che dimezzato rispetto a quello della Germania e di poco superiore alla metà nel confronto con quello della Francia. Quattordici scienziati hanno firmato un appello per il “salvataggio della sanità pubblica”. La premier Giorgia Meloni rivendica “la cifra record di 134 miliardi” del fondo sanitario di quest’anno ma le opposizioni sostengono l’esatto contrario lamentando i “tagli continui” al settore.

Il tutto accade alla vigilia di un Documento di economia e finanza che non avrà gli strumenti per dare una risposta alla sanità italiana. Anche perché la questione è strutturale, e travalica di parecchio gli spazi asfittici della politica quotidiana e del dibattito che l’accompagna. E con le sue dimensioni supera le singole responsabilità di questo o quel Governo, per abbracciare un’intera stagione politica e tecnica cadenzata da Esecutivi dalla vita media breve o brevissima. Una stagione nella quale scostamenti, prepensionamenti variegati e bonus hanno appeso i conti pubblici a un cappio sempre più grande di spesa rigida. Che strozza quella discrezionale, come appunto quella da dedicare a sanità, scuola e così via.

Sanità, pessimo stato di salute

Sono come sempre i numeri a offrire una strada chiara nel caos delle polemiche più o meno interessate dalla contingenza politica o economica. Primo: è vero che in valore assoluto il finanziamento pubblico alla sanità è cresciuto con la manovra. La quale, nonostante l’asfissia dei conti ha messo sul piatto 3 miliardi per quest’anno, 4 per il prossimo e 4,2 dal 2026. La conseguenza è che il contatore segna valori anche superiori a quelli indicati da Meloni.

È altrettanto certo però – sottolinea il Sole24Ore – che in finanza pubblica i valori nominali contano fino a un certo punto. Il parametro più rilevante è nel rapporto con il Pil. Qui il quadro si complica, soprattutto dopo gli ultimi calcoli dell’Istat che il 1° marzo scorso ha rivisto al rialzo le dimensioni del Pil italiano. Aggiornando i dati della NaDef 2023 alla luce della manovra e dei riconteggi Istat, il finanziamento alla sanità per quest’anno si attesta al 6,27% del Pil. Si tratta dei livelli più bassi dal 2007 a oggi.

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L’8% del Pil sarebbe il minimo

Per tornare al 6,7% del prodotto, cioè ai livelli del 2022, servirebbero quindi 9,2 miliardi quest’anno e 9,4 il prossimo. Ancora più ciclopiche sono naturalmente le cifre necessarie per raggiungere l’8% del Pil, livello giudicato il minimo indispensabile dall’appello degli scienziati. Per arrivare a quel punto servirebbero 32 miliardi quest’anno, e 37,4 il prossimo, argomenta ancora il Sole24Ore. Numeri nemmeno immaginabili con i conti che si stanno faticosamente elaborando al ministero dell’Economia in questi giorni.

Un altro fattore aiuta a capire perché l’ancoraggio al Pil è significativo mentre i valori assoluti restituiscono un’ottica deformata. Si tratta dell’inflazione, che in questi anni ha svuotato di peso l’involucro dei dati nominali. I 136 miliardi del finanziamento di quest’anno sono infatti 13,9 in più rispetto ai fondi del 2021, e segnano quindi un aumento dell’11,4%.

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