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Mai come in questi Anni Venti si è parlato così spesso di diritti umani, eppure siamo lontani dal vedere una condizione senza la schiavitù per milioni di uomini e donne di molti paesi del mondo. Secondo l’International Labour Organization (ILO) e l’International Organization for Migration (IOM), a settembre 2022 erano quasi 50 milioni le persone ancora in condizioni di schiavitù nel nostro pianeta.

Naturalmente i tempi sono cambiati e bisogna intendersi su quale sia il significato da attribuire alla modern slavery. La schiavitù di oggi non è quella del passato. Si sostanzia nell’imposizione di forme di controllo, coercizione e sfruttamento di soggetti, spesso minori e bambini, per il tornaconto economico di qualcuno. Sia che si tratti di un soggetto fisico che di un’impresa. A finire in questa condizione di vera e propria schiavitù sono molto spesso i migranti.

Le forme della schiavitù moderna

Una delle più estreme forme di schiavitù moderna è il traffico di esseri umani. Persone che mafie e organizzazioni del crimine sradicano dai loro luoghi di origine per reclutarli e sfruttarli nella prostituzione, nella criminalità o tramite matrimoni forzati. Per non parlare poi del tema del prelievo di organi. Il lavoro forzato rappresenta una delle forme di schiavitù moderna numericamente più considerevoli. Secondo l’ILO, dei quasi 50 milioni di esseri umani in condizioni di schiavitù, 27,6 milioni sarebbero costretti al lavoro forzato. Di essi oltre 17 milioni sfruttati nel settore privato, oltre 6 milioni sfruttati sessualmente a fini commerciali. E quasi 4 milioni sottoposti a un lavoro imposto dalle autorità statali.

Di grande portata e impatto sociale vi è poi il lavoro minorile che da solo coinvolgerebbe nel mondo circa 200 milioni di minori. Bambini e ragazzi che non godono di alcun diritto, come quello a un’educazione adeguata. Non ultima, esiste tutt’oggi una forma di servitù domestica che può nascondere sfruttamento e abusi di soggetti particolarmente vulnerabili.

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Le aree più coinvolte

La schiavitù moderna risulta maggiormente concentrata in alcuni paesi, specie quelli a basso reddito, di Africa, Sud America, Asia Centrale e Medio Oriente. In particolare, secondo il Global Slavery Index 2023 dell’organizzazione per i diritti umani Walk Free, la Corea del Nord è il Paese nel mondo a più elevato indice di schiavitù, pari a 104,6 persone ogni 1.000 abitanti. Al secondo posto l’Eritrea con 93 persone ogni 1.000 abitanti. Terza la Mauritania con 32 persone ogni 1.000 abitanti. Ma tra i primi 10 paesi di questa triste classifica si trovano anche Arabia Saudita, Turchia, Emirati Arabi, Russia e Kuwait. Stati dove, seppur in misura piuttosto differente, i diritti umani sono ancora lontani da essere garantiti e difesi.

Schiavitù, i settori più a rischio

A livello di settori produttivi sono diversi quelli coinvolti dal rischio di mancato rispetto dei diritti dei lavoratori. A cominciare dal settore edile dove la domanda di personale è molto elevata e per questo non di rado si assiste allo sfruttamento di manodopera poco preparata e a basso costo. A rischio elevato sono anche i settori minerario e agroalimentare, le cui lunghe e complesse catene di fornitura tra produzione, lavorazione e confezionamento, sfruttano i lavoratori.

A tale proposito, secondo l’ILO, l’11% delle vittime mondiali di lavoro forzato che riduce in condizioni di schiavitù appartiene ai settori agricolo e della pesca. Infine, il settore finanziario, ancorché sia percepito come a basso rischio, risulta esposto a violazioni dei diritti umani sia dal punto di vista del rispetto dei lavoratori che della concessione del credito. In questo senso è bene ricordare che invece le istituzioni finanziarie possono avere un ruolo centrale nel contrasto alla schiavitù moderna in virtù della capacità di indirizzare il business globale, identificare flussi finanziari e promuovere investimenti sostenibili.

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