Advertisement

La Corte di Cassazione, mediante sentenza n. 20239 del 14 luglio 2023, ha emesso un giudizio in relazione al recesso datoriale ad nutum intimato per un patto di prova, successivamente dichiarato nullo. In tale pronuncia la Corte ha sottolineato che, qualora il licenziamento non possa essere collegato ad alcuna delle circostanze previste dall’art. 3, comma 2, del Decreto Legislativo 23/2015 la tutela applicabile al lavoratore si limita esclusivamente all’assegnazione di un’indennità.

Nel contesto dei rapporti di lavoro regolamentato dalle tutele crescenti, un licenziamento notificato a fronte di un patto di prova nullo comporta esclusivamente l’obbligo di erogazione indennitaria. Esclusa ogni possibilità di ricorso alla reintegrazione nell’impiego. Diversa è la situazione in cui il rapporto di lavoro ricada nella disciplina prevista dall’art. 18 dello Statuto dei lavoratori, poiché, in tali circostanze, se il licenziamento è associato ad un patto di prova nullo, la pronuncia di illegittimità del licenziamento implica l’ordine di reintegrazione nell’impiego.

Tutele crescenti e art.18 Statuto dei lavoratori: differenti gli indennizzi

La Corte di Cassazione, nella sentenza n. 20239/2023, rileva che la distinzione tra le due fattispecie appare piuttosto chiara. Infatti, mentre nei licenziamenti disciplinati dal regime delle tutele crescenti la reintegrazione ha “carattere solo residuale, nel riformato art. 18 questo rimedio, sebbene abbia subito una riduzione del suo peso, mantiene comunque un rilievo centrale.

In entrambi i casi la decisione di porre fine al rapporto lavorativo da parte del datore di lavoro è considerata un licenziamento individuale ad nutum, senza la necessità di giusta causa o giustificato motivo (sia soggettivo che oggettivo) per il licenziamento. Tuttavia, per coloro che sono stati assunti prima dell’entrata in vigore della nuova normativa, cui si applica l’art. 18, il rimedio della reintegrazione persiste sia in assenza di giusta causa che di giustificato motivo soggettivo o oggettivo. Tale opzione, al contrario, non è disponibile per coloro che sono stati assunti dopo l’entrata in vigore del Dlgs 23/2015 sulle tutele crescenti.

Advertisement

La Corte di Cassazione, dunque, rimarca che la riforma introdotta con il Job Act ha limitato il rimedio della tutela reale solo nei casi di licenziamento disciplinare, quando è dimostrato che il fatto oggetto di contestazione al lavoratore non è avvenuto. Per quanto riguardo i licenziamenti economici non vi è rimedio alternativo alla tutela indennitaria. Situazione diversa con l’art. 18, in quanto, anche successivamente alla riforma della legge 92/2012, il meccanismo della reintegrazione permane, seppur con alcuni attenuamenti, in entrambi i casi di licenziamento disciplinare e licenziamento oggettivo, qualora si verifichi “l’insussistenza del fatto” alla base del recesso datoriale.

Licenziamento rientrante nel regime delle tutele crescenti: previsto il solo rimedio indennitario

La decisione della Corte di legittimità si basa proprio su questa differenziazione. Non considerare equiparabili le due situazioni in termini di protezione, sia indennitaria che reale, poiché nel contesto del licenziamento durante il periodo di prova dei nuovi dipendenti sorge inevitabilmente una problematica relativa “all’inquadramento del vizio da cui è affetto il recesso”. Problematica che chiaramente non si pone per i licenziamenti rientranti nell’ambito dell’art. 18, in cui la reintegrazione è ritenuta come rimedio applicabile in entrambe le fattispecie, giustificato motivo soggettivo e oggettivo. Pertanto, in considerazione del limitato campo di applicazione previsto dal Jobs Act per il rimedio della reintegrazione, nei licenziamenti emessi nell’ambito delle tutele crescenti basate su un patto di prova nullo, viene applicato esclusivamente il rimedio indennitario.

Advertisement