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La IV Sezione Penale della Corte Suprema di Cassazione, con la sentenza n. 35934 del 20199, ha stabilito che in caso di incidente capitato al lavoratore in nero, oltre alla sanzione pecuniaria si applica anche l’interdizione dall’esercizio dell’attività per la durata di un mese, con conseguente ulteriore danno patrimoniale e di immagine.

Articolo di Mario Gallo per Il Sole 24 Ore

La quarta sezione penale della Cassazione, con la sentenza n. 35934 del 2019, ha affrontato un caso molto emblematico, relativo a un incidente occorso a un lavoratore in nero. Mentre stava smontando una trave modulare del palco ove si era tenuta una manifestazione musicale, ha perso l’equilibrio cadendo da un’altezza di circa due metri rispetto al piano stradale, riportando lesioni da cui è derivata un’incapacità di attendere alle ordinarie occupazioni per un tempo superiore ai quaranta giorni, con indebolimento permanente della funzione uditiva.

Le decisioni del Tribunale e della Corte d’appello

Sia il tribunale di Brindisi che la Corte d’appello di Lecce hanno dichiarato il rappresentante legale della società per cui il lavoratore era di fatto alle dipendenze, nella sua qualità di datore di lavoro colpevole del reato di lesioni colpose di cui all’articolo 590, commi 1, 2 e 3 del codice penale in relazione all’articolo 583, comma 1, numeri 1 e 2 del codice penale, altresì condannandolo al risarcimento dei danni patiti dall’infortunato, con riconoscimento di una provvisionale pari a 10.000,00 euro. I giudici di merito hanno, inoltre, anche riconosciuto la responsabilità amministrativa della stessa società in base al Dlgs 231/2001.

La difesa dell’imputato

L’imputato si è difeso con un articolato ricorso contestando, sostanzialmente, il fatto che l’infortunato fosse alle proprie dipendenze e la violazione degli articoli 40 cpv, 113 comma 1, 590 commi 1,2 e 3 con riferimento all’articolo 583, comma 1, numeri 1 e 2 del codice penale e la manifesta illogicità della motivazione quanto all’affermazione di responsabilità, poiché a suo avviso non risulta provata l’effettiva causalità delle addebitate omissioni.

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La responsabilità della società: si applica anche l’interdizione dall’attività

La Cassazione ha, tuttavia, ritenuto inammissibili sia il ricorso dell’imputato che quello della società. Per quest’ultima, in particolare, è stata confermata la responsabilità dell’illecito amministrativo previsto dall’articolo 25-septies, comma 3, del Dlgs 231/2001, quindi per non aver posto in essere un modello organizzativo e di gestione per la salute e la sicurezza sul lavoro (si veda l’articolo 30 del Dlgs81/2008) idoneo a prevenire la commissione del reato di lesioni gravi con violazione delle norme antinfortunistiche.

Di conseguenza alla società è stata applicata la sanzione pari a 100 quote, per un importo complessivo di 30.000,00 euro; inoltre, alla stessa è stata applicata anche la sanzione dell’interdizione dall’esercizio dell’attività per la durata di un mese (articolo 9, comma 2, lettera A, del Dlgs 231/2001). Pertanto, oltre alla sanzione pecuniaria è stato confermato anche lo stop dell’attività economica con un conseguente ulteriore danno patrimoniale e d’immagine.

Da notare, poi, che la stessa Suprema corte ha anche ricordato che «in tema di responsabilità da reato degli enti…il rappresentante legale indagato o imputato del reato presupposto non può provvedere, a causa di tale condizione di incompatibilità, alla nomina del difensore dell’ente, per il generale e assoluto divieto di rappresentanza posto dall’articolo 39 del Dlgs 231/2001» (Cassazione 33041/2015; 51654/2017).

La posizione di datore di lavoro per la sicurezza e rilevanza delle prove testimoniali

Per quanto, poi, riguarda la posizione del datore di lavoro, secondo i giudici di legittimità vi è una congrua e completa motivazione sulle ragioni che hanno condotto la Corte territoriale a confermare l’affermazione di responsabilità dello stesso il quale ha «agito come datore di lavoro», omettendo di mettere in atto le necessarie misure per prevenire la caduta dall’alto; l’imputato, infatti, si era difeso sostenendo che l’infortunato era presente solo per «dare una mano» ad un altro lavoratore, ponendo in essere una condotta per altro abnorme.

Ma secondo la Cassazione è stato dimostrato che l’imputato era datore di lavoro per la sicurezza (si veda l’articolo 2, comma 1, lettera b, del Dlgs 81/2008) del lavoratore infortunato in quanto, come emerso dalle prove testimoniali, sarebbe stato lui stesso «a telefonare alla persona offesa per invitarla a recarsi al cantiere, come già peraltro avvenuto in altre occasioni».

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