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Trattamenti CIGS dipendenti delle imprese di ristorazione:

La Direzione generale per l’Attività Ispettiva del Ministero del Lavoro, con Interpello n. 19 del 20 luglio 2015, ha fornito risposta al quesito avanzato dalla Federazione Italiana Pubblici Esercizi sui trattamenti CIGS per i dipendenti delle imprese di ristorazione e nello specifico in “merito alla possibilità di concedere i trattamenti di integrazione salariale straordinaria in favore dei dipendenti di imprese del settore della ristorazione collettiva, appaltatrici di servizi di mensa presso imprese industriali committenti, per un periodo superiore al limite di 36 mesi nel quinquennio fissato dall’art. 1, comma 9, L. n. 223/1991”.

In particolare, l’istante ha chiesto di sapere se la suddetta deroga trovi o meno applicazione per le menzionate imprese appaltatrici della ristorazione, nell’ipotesi in cui i trattamenti in questione siano stati riconosciuti ai dipendenti delle aziende industriali committenti per un periodo superiore ai 36 mesi.

Al riguardo, la Direzione generale, acquisito il parere della Direzione generale degli ammortizzatori sociali e I.O. e dell’Ufficio legislativo, ha rappresentato quanto segue, come si legge nell’Interpello n. 19/2015.

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In via preliminare, la Direzione generale muove dalla lettura dell’art. 1, comma 9, L. n. 223/1991, ai sensi del quale “per ciascuna unità produttiva i trattamenti straordinari di integrazione salariale non possono avere una durata complessiva superiore a trentasei mesi nell’arco di un quinquennio indipendentemente dalle cause per le quali sono stati concessi ivi compresa quella prevista dall’articolo 1 del decreto-legge 30 ottobre 1984, n. 726, convertito, con modificazioni dalla legge 19 dicembre 1984, n. 863. Si computano, a tal fine, anche i periodi di trattamento ordinario concessi per contrazioni o sospensioni dell’attività produttiva determinate da situazioni temporanee e di mercato”.

La norma in esame prosegue sancendo che il predetto limite può essere superato laddove ricorrano determinate condizioni.

Nello specifico, si fa riferimento alle ipotesi di ristrutturazione, riorganizzazione o conversione aziendale di particolare complessità ex art. 1, comma 3, L. n. 223/1991, nella misura in cui l’impresa venga ammessa a procedure concorsuali ai sensi dell’art. 3 della medesima legge; al caso di stipulazione di contratti di solidarietà di cui all’art. 1 D.L. n.726/1984 (conv. da L. n. 863/1984); nonché di proroga degli stessi contratti in virtù dell’art. 7 D.L. n. 536/87 (conv. da L. n. 48/1988). Il Legislatore mediante le deroghe di cui sopra ha voluto impedire che, operando rigidamente il limite massimo dei 36 mesi nel quinquennio per la fruizione della CIGS, possano essere pregiudicati i piani e i programmi di risanamento aziendale finalizzati al salvataggio dei livelli occupazionali.

Ciò premesso, la Direzione generale ha fatto presente che l’art. 23, comma 1, L. n. 155/1981, richiamato dall’istante, estende il trattamento straordinario di integrazione salariale “con le modalità e procedure vigenti nel settore stesso, ai dipendenti di aziende appaltatrici di servizi di mensa o ristorazione, addetti in modo prevalente e continuativo a tale attività, sospesi dal lavoro o che effettuano prestazioni di lavoro ad orario ridotto in conseguenza di situazioni di crisi e di difficoltà anche temporanee dell’impresa industriale, presso cui vengono svolti i servizi di mensa o ristorazione, purché dette situazioni diano luogo all’applicazione del trattamento a carico della Cassa per l’integrazione guadagni ordinaria o straordinaria”.

La norma in questione introduce una specifica causale che consente l’accesso al trattamento di integrazione salariale straordinaria alle aziende appaltatrici di servizi di mensa in tutti i casi in cui l’azienda industriale presso la quale viene reso il servizio versi in situazioni di crisi o di difficoltà che abbiano comportato la concessione del trattamento di CIGO o di CIGS.

In proposito il D.M. n. 31347 del 2002 recante “Criteri generali di concessione del trattamento CIGS alle aziende appaltatrici di servizi di mensa presso aziende industriali, ai sensi dell’art. 23 primo comma, della l. 23 aprile 1981 n. 155”, nel procedere ad una ricognizione dei requisiti di carattere soggettivo ed oggettivo che devono sussistere ai fini dell’estensione del trattamento di integrazione salariale de qua, interviene per specificare alcuni aspetti (es. il requisito dimensionale della azienda che eroga il servizio di mensa – art. 1 lett. a3) e per ribadire espressamente che la “contrazione dell’attività dell’azienda di mensa debba essere in diretta connessione con la contrazione dell’attività dell’impresa committente” (art 1, lett. b1), e che “le difficoltà dell’impresa committente devono essere già state oggetto di specifici provvedimenti di integrazione salariale” (art. 1 lett. b2).

Dal complessivo quadro normativo riportato, è emerso che l’estensione del trattamento di integrazione salariale ai dipendenti delle imprese appaltatrici dei servizi di mensa si giustifica in ragione delle conseguenze che dette imprese subiscono per effetto della contrazione dell’attività dei committenti.

Tale principio di portata generale vale, sino alla scadenza del contratto di appalto, sia nel caso in cui i trattamenti di integrazione salariale abbiano una durata massima di 36 mesi che nel caso in cui abbiano una durata superiore ai sensi dell’art. 1, comma 9, della L. n. 223/1991.

(Fonte: Ministero del Lavoro)

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