Anche dopo la fine del contratto puoi chiedere risarcimenti per stress e diritti violati: il motivo è semplicissimo

Ogni lavoratore sa quanto sia importante rispettare orari, turni e pause, ma pochi conoscono davvero i meccanismi legali che tutelano i propri diritti anche dopo la fine del contratto. Una recente sentenza della Corte d’Appello di Milano ha acceso i riflettori su un aspetto fondamentale: anche se il rapporto di lavoro è terminato, il dipendente può ancora ottenere un risarcimento per i diritti non rispettati durante il periodo di occupazione.

Il tema centrale riguarda la prescrizione, cioè il tempo entro il quale un diritto può essere richiesto in tribunale. Se si lascia passare troppo tempo, il diritto si estingue. Tuttavia, la legge riconosce una tutela particolare per i lavoratori: finché il contratto è attivo, il cronometro della prescrizione rimane “congelato”. Questo significa che eventuali abusi o violazioni subite non perdono automaticamente valore, ma possono essere fatti valere anche dopo la cessazione del rapporto di lavoro.

Il principio alla base di questa tutela si chiama “metus”: è il timore che un lavoratore prova di fronte a possibili ritorsioni o licenziamento. Finché questo timore esiste, la legge sospende i termini della prescrizione, proteggendo così i dipendenti più vulnerabili e permettendo loro di chiedere giustizia una volta terminato il rapporto con il datore di lavoro. Quando quindi non hanno più niente da perdere. 

Riposo settimanale negato: un esempio pratico

Un caso affrontato in tribunale riguardava alcuni dipendenti di una società ferroviaria, obbligati a essere reperibili nei fine settimana pur avendo un normale orario di lavoro dal lunedì al venerdì. Questo sistema impediva loro di godere del riposo settimanale minimo di 24 ore consecutive previsto dalla legge, causando stress e affaticamento psicofisico.

prescrizione sospesa
La prescrizione resta sospesa finché dura il rapporto, proteggendo il riposo e i diritti del lavoratore-diritto-lavoro

I lavoratori non si accontentarono del pagamento delle indennità di reperibilità o delle ore straordinarie: chiesero un risarcimento anche per il danno alla salute. La Corte ha stabilito che il diritto a ottenere un risarcimento per lo stress legato alla violazione del riposo settimanale non decade finché il rapporto di lavoro è in corso, e può essere fatto valere anche dopo la fine del contratto.

Secondo la sentenza 803/2025, la prescrizione dei diritti dei lavoratori decorre solo dopo la cessazione del rapporto di lavoro, a condizione che tali diritti non fossero già estinti prima dell’entrata in vigore della legge Fornero del 2012. Questo principio si applica non solo agli stipendi o alle differenze retributive, ma anche ai risarcimenti per danni legati alla salute e al benessere psicofisico.

In pratica, se durante il periodo lavorativo un dipendente non può far valere un diritto per paura di perdere il posto, la legge gli permette di farlo una volta terminato il contratto. Questo tutela la dignità, la salute e il benessere di chi lavora, riconoscendo che il rapporto di lavoro crea una posizione di debolezza nei confronti del datore.

Per il lavoratore significa che eventuali richieste di risarcimento per mancato riposo settimanale, stress da lavoro o altri diritti violati non vanno perse automaticamente al termine del contratto. È possibile richiedere le somme dovute anche a distanza di tempo, purché la violazione sia documentata e provata.