La prescrizione del credito dell’avvocato: quando il cliente non è più tenuto a pagare la parcella.

Il rapporto tra avvocato e cliente è fondato su un principio di fiducia reciproca, ma anche su regole precise che disciplinano il diritto al compenso del professionista. L’avvocato, infatti, è un libero professionista e, come tale, ha diritto a ricevere il pagamento per l’attività svolta, sia essa di consulenza o di difesa in giudizio.

Tuttavia, può accadere che, dopo la conclusione dell’incarico, il cliente non provveda al saldo della parcella, o che il legale, per varie ragioni, non richieda tempestivamente il compenso. A quel punto si apre un tema delicato: dopo quanto tempo il credito dell’avvocato si prescrive? E cosa accade se non esiste alcun preventivo scritto?

Avvocato, dopo quanto tempo non sei più obbligato a pagarlo: attenzione alle date

Dal 2012, la legge prevede che l’avvocato fornisca al cliente un preventivo scritto, chiaro e dettagliato (art. 13 della legge 247/2012). Tale documento deve specificare i costi prevedibili, i criteri di calcolo del compenso e le eventuali spese accessorie.

Cosa succede se non pago l'avvocato?
Avvocato, dopo quanto tempo non sei più obbligato a pagarlo-dirittolavoro.com

In mancanza di un accordo scritto, tuttavia, il diritto al compenso non viene meno: si applicano i cosiddetti parametri forensi, stabiliti dal Decreto Ministeriale n. 55 del 2014, che tengono conto di vari elementi come la complessità della causa, il valore della controversia, la durata del procedimento e il risultato ottenuto.

L’assenza del preventivo, quindi, può comportare un rilievo disciplinare per l’avvocato – perché rappresenta una violazione deontologica – ma non priva il professionista del diritto al pagamento.

Sul piano giuridico, il diritto dell’avvocato al pagamento del proprio onorario si prescrive in dieci anni, come previsto in generale per i crediti derivanti da rapporti professionali (art. 2946 c.c.). Ciò significa che, trascorso questo termine dalla conclusione dell’incarico, il cliente non è più tenuto a pagare, a meno che nel frattempo non siano intervenuti atti interruttivi della prescrizione, come una diffida scritta o una richiesta formale di pagamento.

Esiste però anche una prescrizione presuntiva di tre anni, disciplinata dall’art. 2957 del codice civile. Essa non estingue il diritto in senso stretto, ma introduce una presunzione di avvenuto pagamento: dopo tre anni dalla fine dell’incarico, si presume che l’avvocato sia stato saldato. In questa fase, spetta al legale dimostrare il contrario, cosa che può avvenire solo con uno specifico mezzo di prova: il giuramento decisorio.

In pratica, il giudice può invitare il cliente a giurare se abbia o meno pagato la parcella. Se il cliente afferma sotto giuramento di aver pagato, il giudice deve credergli, anche se l’avvocato sostiene il contrario. Se invece il cliente, temendo le conseguenze penali dello spergiuro, ammette di non aver pagato, il professionista ottiene il riconoscimento del suo credito.

La distinzione tra prescrizione estintiva (dieci anni) e prescrizione presuntiva (tre anni) è cruciale. Nel primo caso, trascorso il termine senza alcuna interruzione, il diritto si estingue definitivamente. Nel secondo, la legge presume che il pagamento sia già avvenuto, ma l’avvocato può tentare di superare la presunzione in giudizio.

Per evitare di perdere il diritto al compenso, è quindi essenziale che il legale agisca con tempestività, inviando una diffida o una richiesta formale entro i tre anni dalla conclusione del mandato. Questi atti interrompono la prescrizione e fanno ripartire il termine da capo.

Un altro aspetto spesso fonte di confusione riguarda il caso in cui l’avvocato non ottenga un esito favorevole per il cliente. La sconfitta in giudizio non comporta automaticamente la perdita del diritto al compenso: il professionista deve essere comunque pagato per il lavoro svolto, a meno che la perdita non derivi da una condotta gravemente negligente o inadempiente.