Attenzione a non commettere questo errore perché si rischia il licenziamento. Ecco come funziona, in dettaglio

Nel vasto e complesso universo del lavoro, tra norme, contratti e diritti che cambiano di settore in settore, non è raro sentirsi smarriti. Ogni situazione ha le sue regole, le sue eccezioni, e spesso ciò che sembra scontato in realtà non lo è affatto.

Un esempio emblematico riguarda uno degli argomenti più delicati: il certificato medico. Molti credono che basti quel foglio firmato dal medico per mettersi al riparo da qualsiasi conseguenza. In realtà, non è così semplice.

Nell’immaginario collettivo, il certificato rappresenta una sorta di scudo, la garanzia che tutela il lavoratore nel momento di fragilità. Eppure, le cose sono più sfumate. Esistono circostanze in cui, nonostante si sia in possesso del certificato medico, si può incorrere in provvedimenti disciplinari che possono sfociare anche nel licenziamento. Si tratta di situazioni che pochi conoscono davvero e che, spesso, emergono solo quando è troppo tardi.

Il mondo del diritto del lavoro non è fatto di automatismi, ma di equilibri tra doveri e diritti. Conoscere come funziona la normativa sui certificati medici non è solo utile: è fondamentale per evitare errori che possano costare caro. Perché, nel campo del lavoro, la buona fede non sempre basta a proteggersi dalle conseguenze di una leggerezza o di un’informazione mancata.

Certificato medico: ecco quando non basta averlo e cosa rischi davvero

Può un lavoratore essere licenziato, nonostante il certificato medico, per aver sollevato pesi nel tempo libero? La domanda, che a prima vista potrebbe sembrare curiosa, è invece al centro di una recente sentenza della Corte di Cassazione (n. 28367 del 27 ottobre 2025) che ha fatto discutere ambienti sindacali e giuslavoristi.

Anche con il certificato medico rischi il licenziamento
Anche con il certificato medico rischi il licenziamento-diritto-lavoro.com

Il caso riguarda un dipendente di un noto gruppo multinazionale, che si è visto licenziare per giusta causa dopo aver praticato attività di body building e personal training, nonostante le limitazioni fisiche imposte dal medico aziendale.

Le prescrizioni, piuttosto chiare, vietavano al lavoratore di sollevare pesi superiori ai 18 chili e di movimentare oggetti sopra l’altezza delle spalle. Tuttavia, le immagini pubblicate dallo stesso dipendente sui social lo ritraevano impegnato in esercizi di sollevamento pesi, in netto contrasto con le indicazioni mediche. La scoperta ha spinto l’azienda a intervenire, ravvisando una violazione dei doveri di correttezza e fedeltà.

Dopo un lungo percorso giudiziario, culminato in Cassazione, i giudici supremi hanno confermato la legittimità del licenziamento, chiarendo un principio fondamentale: la fedeltà verso il datore di lavoro non si limita a evitare la concorrenza sleale, ma comprende ogni comportamento che possa incrinare il rapporto fiduciario.

Nel caso in esame, l’attività sportiva non era un passatempo innocuo, bensì un gesto in contraddizione con le condizioni fisiche dichiarate e con il ruolo ricoperto in azienda. Secondo la Suprema Corte, quella condotta, pur svolta fuori dall’orario di lavoro, era tale da compromettere la credibilità e l’affidabilità del lavoratore, giustificando così il recesso. Una decisione che segna un punto fermo nel complesso equilibrio tra vita privata e obblighi contrattuali.