Salario minimo in Italia: la svolta mancata e la scelta del governo Meloni di rafforzare la contrattazione collettiva.
In Italia, il dibattito sul salario minimo continua a dividere il panorama politico ed economico. Ma mentre una parte dell’opinione pubblica, sostenuta soprattutto dalle opposizioni, chiede a gran voce una soglia retributiva legale sotto cui nessun lavoratore possa essere pagato, il governo Meloni ha intrapreso una strada differente, puntando tutto sul potenziamento della contrattazione collettiva.
Il concetto di salario minimo legale è chiaro: si tratta di una cifra oraria fissa, uguale per tutti i lavoratori, al di sotto della quale nessun datore di lavoro può scendere. In linea con la direttiva europea sul lavoro dignitoso, le opposizioni avevano proposto di fissarlo a 9 euro lordi all’ora, un importo che avrebbe garantito una soglia minima di dignità retributiva, soprattutto nei settori a bassa tutela e bassa contrattazione.
Il salario minimo finalmente arriva in Italia: comunicate le cifre
Tuttavia, il Governo ha più volte rigettato l’idea. La motivazione? Secondo l’Esecutivo, imporre una soglia fissa rischia di distorcere l’equilibrio del mercato del lavoro italiano, creando un effetto livellamento verso il basso.

In altre parole, si teme che molti contratti collettivi, oggi con salari anche superiori a 9 euro, possano essere adeguati al minimo legale, peggiorando le condizioni di chi guadagna di più, anziché migliorare quelle dei più deboli.
Una posizione che si basa su un presupposto fondamentale, oltre il 99% dei lavoratori italiani è coperto da contrattazione collettiva. Secondo il Governo, quindi, il problema non sarebbe l’assenza di regole, ma la qualità e l’efficacia dei contratti collettivi stessi, che devono essere resi più rappresentativi, inclusivi e vincolanti.
Al posto di un salario minimo legale, il Governo ha scelto di approvare, nel settembre 2025, una legge delega che punta a introdurre un “trattamento economico complessivo minimo”. Non si tratta di una cifra valida per tutti, bensì di un sistema per rendere vincolanti i minimi salariali stabiliti nei contratti collettivi più rappresentativi di ciascun settore.
In pratica, ogni comparto produttivo, dalla ristorazione alla logistica, dalla sanità privata alla metalmeccanica, avrà come riferimento il contratto collettivo nazionale (Ccnl) maggiormente rappresentativo.
Le aziende non potranno più aggirare questi standard, nemmeno attraverso i cosiddetti “contratti pirata”, cioè quegli accordi firmati da sindacati minoritari, spesso con il solo scopo di tagliare il costo del lavoro.
Il sistema scelto dal Governo è, in sostanza, un modello settoriale, dinamico, che si adatta alle peculiarità delle singole filiere economiche. L’intento è anche quello di rispettare l’articolo 36 della Costituzione, che stabilisce il diritto a una retribuzione proporzionata alla quantità e alla qualità del lavoro svolto.





