I buoni pasto spettano anche ai lavoratori part-time, anche a coloro il cui orario non prevede una pausa pranzo.
L’Agenzia delle Entrate ha recentemente fornito chiarimenti decisivi, superando un equivoco diffuso e radicato nel tempo. Questo articolo analizza in modo dettagliato le novità normative, le condizioni per l’esenzione fiscale e i diritti dei lavoratori, con particolare attenzione ai contratti part-time.
Per anni, la normativa italiana ha associato i buoni pasto alla pausa pranzo, basandosi su un decreto del Ministero dello Sviluppo Economico (n. 122/2017) che ne definiva la funzione come sostitutiva di una mensa aziendale durante l’intervallo lavorativo. Questa interpretazione ha indotto molte aziende a negare il buono pasto ai lavoratori part-time o a chi non effettuava una pausa formale, creando disparità e confusione.
Tuttavia, con l’entrata in vigore del nuovo Codice degli Appalti (D.Lgs. 36/2023), quel decreto è stato abrogato e la disciplina fiscale dei buoni pasto si è spostata esclusivamente all’interno dell’articolo 51 del Testo Unico delle Imposte sui Redditi (TUIR), che non menziona più la pausa pranzo come requisito per l’erogazione del buono pasto.
L’Agenzia delle Entrate chiarisce: buoni pasto anche senza pausa pranzo
L’Agenzia delle Entrate ha confermato con diverse pronunce, tra cui la risposta a interpello n. 123 del 2021, che il beneficio fiscale dei buoni pasto si applica indipendentemente dall’orario di lavoro e dalle modalità di svolgimento dell’attività lavorativa. Ciò significa che: i buoni pasto possono essere assegnati a lavoratori che svolgono 8 ore, 6 ore o anche solo 4 ore giornaliere; possono essere erogati sia a chi lavora in sede, sia in smart working o in trasferta; non è necessaria una pausa pranzo formale per godere del beneficio. In sostanza, qualsiasi dipendente, a tempo pieno o part-time, può ricevere i buoni pasto con lo stesso trattamento fiscale agevolato, purché ne siano rispettate alcune condizioni.

Per garantire l’esenzione fiscale e contributiva dei buoni pasto, la legge prevede due requisiti fondamentali. Non devono essere monetizzabili: i buoni pasto non possono essere convertiti in denaro contante. Devono essere utilizzati esclusivamente per l’acquisto di pasti o alimenti; devono essere erogati a tutti i dipendenti oppure a categorie omogenee: il buono pasto è una forma di welfare aziendale e non una componente della retribuzione. Non può essere concesso a titolo personale o come premio, ma deve essere offerto uniformemente, ad esempio a tutti gli operai, a tutti gli impiegati o a tutti i lavoratori di una determinata sede.
In questo contesto, la decisione di un’azienda di estendere i buoni pasto a tutti i dipendenti, inclusi i part-time senza pausa pranzo, è pienamente conforme alla normativa vigente, eliminando qualsiasi rischio di sanzioni o contestazioni fiscali.
Il ruolo del Contratto Collettivo Nazionale del Lavoro (CCNL)
Nonostante l’assenza di vincoli nella legge fiscale, la disciplina dell’erogazione dei buoni pasto può essere influenzata dal CCNL di riferimento, che può prevedere condizioni specifiche per l’assegnazione.
Ad esempio, alcuni contratti collettivi possono stabilire che il buono pasto spetti solo a lavoratori con una giornata lavorativa superiore a un certo numero di ore, come sei. In questi casi, l’esclusione dei lavoratori part-time non è dettata da una norma fiscale, ma da accordi contrattuali.
Nel caso in cui il CCNL non disciplini specificatamente il tema, il datore di lavoro ha la piena libertà di erogare i buoni pasto a tutti i dipendenti, compresi quelli part-time senza pausa pranzo, senza incorrere in violazioni contrattuali.
Un passo avanti nella tutela dei lavoratori part-time
La decostruzione del legame tra buoni pasto e pausa pranzo rappresenta un significativo avanzamento nella tutela dei lavoratori con orari ridotti. Per anni, questa categoria è stata penalizzata da una discriminazione indiretta che limitava l’accesso a una delle forme di welfare aziendale più diffuse, aggravando la disparità economica e sociale.
Oggi, il buono pasto è riconosciuto come un sostegno reale al reddito, un beneficio che incrementa il potere d’acquisto del lavoratore a prescindere dalle ore lavorate. La nuova interpretazione normativa sancisce il principio di non discriminazione tra dipendenti a tempo pieno e part-time, consolidando un diritto fondamentale nel mercato del lavoro italiano.
Questo aggiornamento normativo invita aziende e sindacati a rivedere le proprie politiche interne, per garantire un trattamento equo e conforme alla normativa fiscale e contrattuale, valorizzando il ruolo del welfare aziendale anche per la parte più fragile della forza lavoro.





