L’obiettivo dichiarato delle nuove regole è garantire la sostenibilità finanziaria del sistema pensionistico.

Nel contesto delle imminenti modifiche al sistema previdenziale italiano, si profila una significativa riforma che potrebbe rendere possibile la pensione a 64 anni a partire dal 2026, ma con criteri molto più severi rispetto alle misure precedenti.

L’attuale dibattito riguarda soprattutto i requisiti contributivi necessari per accedere a questa nuova forma di pensionamento anticipato, che si presenta come un passaggio da un modello misto a uno esclusivamente contributivo.

Fine di Quota 103 e introduzione della pensione a 64 anni

Dal 2023 è in vigore la Quota 103, uno strumento temporaneo che ha consentito a molti lavoratori di andare in pensione anticipata a 62 anni con almeno 41 anni di contributi, rappresentando un compromesso tra flessibilità e sostenibilità economica. Tuttavia, questa misura è destinata a cessare nel 2026, salvo eventuali proroghe. Il governo ha quindi messo in cantiere un nuovo sistema più rigido, che prevede la possibilità di pensionamento anticipato solo a partire dai 64 anni, ma con condizioni molto più stringenti.

La proposta al vaglio prevede infatti un’età minima di 64 anni accompagnata da un requisito contributivo minimo di 25 anni, rivolgendosi esclusivamente a chi ha iniziato a lavorare dopo il 1° gennaio 1996. Questo è un passaggio fondamentale perché implica che il calcolo della pensione sarà effettuato interamente con il sistema contributivo, senza più alcuna componente retributiva.

Requisiti stringenti e platea ristretta

Oltre all’asticella dell’età e dei contributi, il nuovo sistema impone un ulteriore vincolo economico: l’assegno pensionistico maturato deve essere almeno pari a tre volte l’assegno sociale, che nel 2025 ammonta a circa 539 euro mensili. Si richiederebbe quindi una pensione mensile minima di circa 1.617 euro lordi per poter accedere alla pensione a 64 anni.

Pensione a 64 anni
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Questa soglia selettiva esclude automaticamente una fetta consistente di lavoratori, in particolare chi ha carriere discontinue, redditi bassi o interruzioni frequenti, come avviene spesso nei settori autonomi, precari o a basso reddito. Anche chi raggiunge l’età di 64 anni con 25 anni di contributi ma non arriva a questo importo pensionistico dovrà attendere il pensionamento ordinario, attualmente fissato a 67 anni.

Prospettive a medio-lungo termine: criteri ancora più rigidi

Le proiezioni indicano che già dal 2030 i requisiti potrebbero irrigidirsi ulteriormente, con un aumento della soglia contributiva da 25 a 30 anni e una rivalutazione dell’importo minimo dell’assegno a 3,2 volte l’assegno sociale. Questo innalzamento accentuerebbe ulteriormente la selettività della riforma, riservando la pensione anticipata a 64 anni a coloro che hanno avuto carriere stabili, retribuzioni medio-alte e regolarità nei versamenti contributivi.

L’effetto di questi cambiamenti sarà quello di limitare la flessibilità in uscita dalla vita lavorativa a una minoranza di lavoratori, accentuando così le differenze tra chi ha avuto un percorso professionale lineare e ben remunerato e chi invece ha vissuto condizioni lavorative più fragili e discontinuo.