L’ultimo report internazionale lancia un allarme che nessuno voleva sentire: lo scenario sulle future pensioni italiane cambia radicalmente.
L’idea di una pensione sempre più lontana non è nuova, ma il 2026 potrebbe peggiorare, con ulteriore preoccupazione di molti lavoratori italiani. Da anni l’età pensionabile è al centro di un acceso dibattito: tra aspettativa di vita che cresce, conti pubblici sotto pressione e carriere lavorative sempre più discontinue, il sistema appare in continua trasformazione. Oggi, però, una nuova previsione rischia di cambiare radicalmente lo scenario.
Secondo i dati più recenti, chi ha iniziato a lavorare nel 2024 potrebbe ritrovarsi a dover rimanere attivo fino a oltre 70 anni prima di poter accedere alla pensione. Un’ipotesi che fino a poco tempo fa sembrava lontana, quasi impossibile, e che invece ora prende forma con numeri, calcoli e proiezioni ben precise. E’ necessario però chiarire che non si tratta di un annuncio politico né di una proposta di riforma imminente, ma di una previsione basata sulle regole vigenti e sulle tendenze demografiche ed economiche attuali.
A lanciare l’allarme è un nuovo rapporto internazionale che analizza la situazione pensionistica in tutti i Paesi più sviluppati. Il confronto è impietoso: l’Italia si colloca tra le nazioni in cui l’età prevista per il ritiro dal lavoro per le nuove generazioni è più alta in assoluto. E non è tutto. Il documento affronta anche un altro tema fondamentale: la persistente disparità tra uomini e donne, che continua a influenzare in modo pesante l’importo delle pensioni future.
La previsione dell’Ocse: pensione oltre i 70 anni per chi inizia oggi
Il nuovo rapporto dell’Ocse Pensions at a Glance 2025 evidenzia una tendenza chiara: per chi ha iniziato a lavorare nel 2024, l’età pensionabile teorica potrebbe superare i 70 anni. Questo non per una legge improvvisa, ma perché i meccanismi automatici che collegano l’età pensionabile all’aspettativa di vita continuano a spingere in alto il limite.

Il confronto con gli altri Paesi è eloquente: mentre in alcuni Stati come Colombia, Lussemburgo e Slovenia l’età di uscita dal lavoro resta intorno ai 62 anni, in Danimarca, Estonia, Svezia, Paesi Bassi e Italia le proiezioni superano nettamente la soglia dei 70. Si tratta di un adeguamento previsto dalle norme in vigore, già programmato e destinato a scattare nel tempo insieme al progressivo aumento della longevità.
In media, secondo l’Ocse, chi entrerà nel mondo del lavoro oggi andrà in pensione — nei Paesi membri — a 66,4 anni se uomo e 65,9 anni se donna. Ma l’Italia si avvia verso un destino più pesante della media: la combinazione tra bassa natalità, crescita dell’aspettativa di vita e un sistema previdenziale contributivo spinge la soglia sempre più in alto.
Oltre all’età pensionabile, il rapporto evidenzia una ferita ancora aperta: la differenza tra gli importi percepiti da uomini e donne. Le lavoratrici, mediamente, ricevono pensioni più basse del 23%. Una forbice che in alcuni Paesi è relativamente contenuta, mentre in altri supera addirittura il 35%, fino ad arrivare a quasi il 50% in Giappone.
Le ragioni sono note: carriere più discontinue, stipendi mediamente inferiori e un numero maggiore di periodi di inattività legati alla cura della famiglia. Nonostante una lenta riduzione del divario rispetto a vent’anni fa, la differenza rimane significativa e rischia di pesare ancora di più in un futuro in cui si lavorerà più a lungo.





