Il sistema pensionistico italiano appare sempre più incerto, oscillando tra aumenti promessi e improvvisi crolli che alimentano preoccupazioni e timori tra lavoratori e famiglie. Le riforme introdotte negli ultimi anni hanno generato instabilità, a causa di regole in continuo mutamento che rendono difficile pianificare il proprio futuro.

Gli assegni pensionistici spesso risultano inferiori alle aspettative, penalizzando categorie vulnerabili e accentuando il divario tra redditi percepiti e importi effettivamente erogati. Tra annunci di nuove misure e tagli imprevisti, il panorama previdenziale italiano continua a riflettere incertezza, sollevando dubbi anche sulla sostenibilità a lungo termine.

Pensioni a picco per questa classe di lavoratori

Secondo uno studio di Confcommercio Professioni, i lavoratori autonomi rischiano di percepire solo il 40% del loro reddito come pensione. Negli ultimi 10 anni gli iscritti alla Gestione Separata Inps sono aumentati del 68%, raggiungendo quota 544.000 tra consulenti e professionisti.

Pensioni in crollo per questa categoria di lavoratori
Molti lavoratori si troveranno con la pensione al minimo – diritto-lavoro.com

Le donne hanno registrato una crescita del 91% dal 2015, arrivando a rappresentare quasi la metà del totale degli iscritti. Dietro questi numeri positivi si nasconde però una criticità strutturale che mette in difficoltà chi lavora senza tutele stabili e con redditi variabili.

Le simulazioni previdenziali indicano che chi inizia a versare contributi a 30 anni e va in pensione a 67 riceverà meno della metà. Il tasso di sostituzione lordo si ferma al 45-46%, mentre quello netto scende al 40% per i redditi medi, aggravando il divario.

Chi inizia a contribuire a 35 anni può arrivare ad assegni compresi tra il 37% e il 41% del reddito finale. A parità di guadagni, gli autonomi percepiranno pensioni molto più basse rispetto ai dipendenti, penalizzati dal sistema contributivo puro introdotto nel 1996.

Nel 2024 il reddito medio degli autonomi era di 75.710 euro lordi annui, ma la pensione stimata si ferma a circa 30.000 euro. Questo significa circa 2.300 euro lordi al mese, che diventano 1.600 euro netti, una cifra lontana dalle aspettative di stabilità.

Chi guadagna 40.000 euro annui vedrà la pensione ridursi così a circa 16.000 euro annui, poco più di 1.300 euro al mese. Se un autonomo lavora 20 anni con reddito medio di 75.710 euro, accumulerà circa 394.000 euro di contributi complessivi.

Applicando poi il coefficiente di trasformazione del 5,723% previsto a 67 anni, l’assegno sarà di circa 22.500 euro lordi annui. In termini netti si traduce in 1.350 euro al mese, pari a un tasso di sostituzione del 30% del reddito percepito.

La durata della contribuzione incide pesantemente sull’importo finale, mostrando quanto sia fragile la prospettiva previdenziale degli autonomi. Oltre agli assegni ridotti, i professionisti devono affrontare prestazioni di welfare limitate rispetto ai contributi versati.

Per questo Confcommercio promuove strumenti di previdenza complementare, come l’estensione del fondo Fon.Te. su base volontaria. L’obiettivo è costruire una seconda pensione che integri quella pubblica e garantisca maggiore stabilità economica ai lavoratori autonomi.