Il dibattito pubblico sulle pensioni riflette tensioni sociali ed economiche, influenzando scelte politiche e creando aspettative che incidono direttamente sulla stabilità quotidiana. Le decisioni previdenziali determinano il futuro di milioni di cittadini, condizionando progetti personali, sicurezza economica e qualità della vita nelle diverse fasi dell’esistenza.

La manovra di Bilancio, ancora in discussione, ha aperto la strada a emendamenti che potrebbero cambiare radicalmente il panorama previdenziale italiano. Tra questi spicca la proposta della UIL, che punta a riportare la pensione a 58 anni per una platea ampia di lavoratrici.

Si torna a parlare di pensione a 58 anni

L’idea è quella di ripristinare Opzione Donna nella sua forma originaria, eliminando i correttivi che negli ultimi anni ne hanno ridotto la convenienza. Non si tratterebbe di una semplice proroga, ma di una versione più inclusiva e accessibile, capace di restituire valore a uno strumento molto discusso.

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Opzione Donna potrebbe tornare nella sua forma originale – diritto-lavoro.com

Al momento la risposta alla domanda se tornerà davvero la pensione a 58 anni nel 2026 è negativa, ma il dibattito politico resta acceso. Tuttavia, l’emendamento presentato ha riacceso il dibattito politico, alimentando richieste e polemiche sulla mancata previsione della misura nella manovra.

Oggi Opzione Donna è valida solo per categorie ristrette, invalide con almeno 74% di invalidità, caregiver conviventi e lavoratrici licenziate o in crisi aziendale. Una platea limitata che rende la misura meno conveniente, soprattutto considerando l’età minima fissata a 59 anni con 35 anni di contributi.

Per le invalide e i caregiver, la soglia dei 59 anni vale solo con più figli, salendo a 60 con un figlio e a 61 senza. Un quadro che ha ridotto drasticamente l’attrattiva della misura, rendendo le uscite anticipate sempre più rare e difficili da ottenere.

Ripristinare la versione originaria significherebbe consentire a tutte le lavoratrici dipendenti di accedere alla pensione con 58 anni e 35 anni di contributi. Per le autonome, invece, resterebbe la differenza storica di un anno in più, con uscita fissata a 59 anni e 35 anni di versamenti.

La proposta della UIL punta proprio a questo, ampliare la platea e rendere nuovamente utilizzabile uno strumento che negli ultimi anni ha perso efficacia. Il ritorno alle origini potrebbe riportare la misura a essere molto utilizzata, come accadeva quando garantiva reale convenienza e possibilità concrete.

Resta fermo l’aspetto fondamentale di Opzione Donna, l’accettazione del calcolo contributivo integrale dell’assegno pensionistico per un equilibrio provvidenziale maggiore. Un compromesso che permette di lasciare il lavoro molti anni prima, rinunciando a parte dell’importo ma guadagnando tempo prezioso.

Se l’emendamento venisse approvato, il 2026 segnerebbe un cambio di passo importante, restituendo alle lavoratrici una possibilità concreta di uscita anticipata. Un ritorno che potrebbe incidere profondamente sul sistema previdenziale, aprendo nuove prospettive e ridando centralità al tema della flessibilità pensionistica.