La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 26607/2025, ha riaffermato un principio chiave in tema di risarcimento dei danni

La vicenda che ha portato a questa decisione riguarda un caso di danneggiamento sul luogo di lavoro, ma le sue implicazioni sono di portata generale, sia per le aziende che per i lavoratori.

La sentenza n. 26607/2025 della Cassazione chiarisce un punto fondamentale del diritto del lavoro: l’esercizio del potere disciplinare da parte del datore di lavoro deve avvenire in modo trasparente, nel rispetto delle procedure legali e contrattuali.

La vicenda e le ripercussioni sui lavoratori

Tutto è iniziato quando un dipendente del settore autotrasporto e logistica, con mansioni di magazziniere, ha compromesso accidentalmente il funzionamento di un muletto aziendale. L’azienda ha reagito prontamente, ma non rispettando la corretta sequenza di azioni prevista dalla legge e dal contratto collettivo. In particolare, ha effettuato una trattenuta dallo stipendio del dipendente per risarcire il danno, ma non seguendo le formalità previste per una sanzione disciplinare.

Sentenza Cassazione
La sentenza della Cassazione – (diritto-lavoro.com)

Prima di comunicare ufficialmente il rimprovero scritto al dipendente, l’azienda aveva già trattenuto due importi dalla busta paga, per un totale di oltre mille euro ciascuno. Solo successivamente è stato emesso il provvedimento disciplinare. Un approccio che, secondo i giudici, violava le garanzie procedurali previste dallo Statuto dei Lavoratori e dal Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro (CCNL), che stabiliscono le modalità corrette per l’imposizione di una sanzione.

Il magazziniere ha fatto causa all’azienda, contestando la trattenuta dallo stipendio e chiedendo la restituzione della somma prelevata. Il tribunale di primo grado ha respinto la sua richiesta, ma in appello la decisione è stata parzialmente favorevole al dipendente, con l’ordine di restituire la prima trattenuta.

Il giudice d’appello ha ritenuto che l’azienda avesse violato le procedure necessarie per giustificare la trattenuta dallo stipendio, in quanto la contestazione formale, ossia il rimprovero scritto, non era stata fatta prima del prelievo. Tuttavia, la seconda trattenuta, avvenuta dopo il provvedimento disciplinare, è stata considerata legittima.

L’azienda ha deciso di ricorrere in Cassazione, contestando l’interpretazione del contratto collettivo da parte del giudice d’appello. L’azienda sosteneva che, secondo il CCNL, fosse legittimo trattenere somme fino a 3.500 euro per risarcire danni, anche in assenza di dolo o colpa grave del dipendente.

La Cassazione ha confermato le conclusioni dei giudici di appello, ribadendo che, per poter trattenere somme dallo stipendio di un dipendente a titolo di risarcimento, il datore di lavoro deve prima emettere la sanzione disciplinare, informando adeguatamente il lavoratore. La Corte ha sottolineato che il contratto collettivo stabilisce espressamente che la trattenuta dallo stipendio può essere effettuata solo dopo la comunicazione ufficiale della sanzione, e che non è sufficiente l’autotutela unilaterale da parte dell’azienda.

Questa pronuncia pone un forte accento sul rispetto delle regole procedurali nei casi di danno causato da un dipendente. Le aziende non possono agire in autotutela, trattenendo somme dalla busta paga senza aver prima notificato correttamente la sanzione disciplinare al dipendente. In altre parole, anche in situazioni in cui la responsabilità del lavoratore sembra chiara, il datore di lavoro deve rispettare un processo formale prima di adottare misure economiche contro il dipendente.