Per avvocati, consulenti e tecnici che collaborano con enti pubblici, il 2026 porterà una novità destinata a cambiare il modo di lavorare. La Legge di Bilancio 2026 introduce infatti una regola che lega il pagamento delle parcelle alla consegna di specifici documenti fiscali e previdenziali. In pratica, se mancano i certificati che attestano la regolarità con il fisco e con gli enti previdenziali, lo stipendio o il compenso resterà bloccato.
È una misura che nasce con l’intento di garantire trasparenza e correttezza nei rapporti tra professionisti e pubblica amministrazione, ma che sta già suscitando forti preoccupazioni nel mondo delle libere professioni. Soprattutto tra gli avvocati, che vedono nella norma un ulteriore ostacolo burocratico a carico di chi lavora già in un sistema amministrativo complesso.
Come funziona la nuova regola
Il principio è contenuto nel comma 9 dell’articolo 130 del disegno di legge di bilancio. La disposizione stabilisce che nessun pagamento potrà essere disposto da parte della Pubblica Amministrazione se la fattura non è accompagnata da due certificazioni. Un attestato di regolarità contributiva, rilasciato dalla cassa professionale di riferimento (come la Cassa Forense o l’Inarcassa). Un certificato di regolarità fiscale, da richiedere all’Agenzia delle Entrate.
Solo dopo aver verificato la presenza di entrambi i documenti, l’amministrazione potrà procedere con il saldo del compenso.
La documentazione dovrà essere allegata direttamente alla fattura elettronica, diventando così parte integrante del processo di pagamento. Se i certificati non vengono inviati, la fattura resta sospesa.

Il provvedimento, almeno nelle intenzioni, punta a evitare che fondi pubblici vadano a soggetti non in regola con gli obblighi fiscali o previdenziali. Tuttavia, molte associazioni professionali hanno espresso forti perplessità.
L’Unione Nazionale delle Camere Civili (UNCC) ha definito la misura “un passo indietro rispetto alla semplificazione amministrativa”, sottolineando che la Pubblica Amministrazione già dispone delle informazioni necessarie per verificare la posizione di un professionista.
Grazie alle banche dati interconnesse, da Agenzia delle Entrate a INPS, INAIL e casse previdenziali, l’ente pubblico può controllare in autonomia la regolarità del contribuente. Imporre ai professionisti di produrre manualmente documenti che la PA può ottenere con un click significa, di fatto, raddoppiare i tempi e i costi della burocrazia.
Molti temono che la misura possa generare ritardi nei pagamenti, proprio in un contesto in cui la liquidità rappresenta una delle principali criticità per chi lavora con la PA. Per un avvocato o un ingegnere che collabora con un comune o un ministero, un pagamento sospeso può tradursi in settimane, o mesi, di attesa in più. C’è anche chi vede in questa norma una forma di “moral suasion” per spingere i professionisti verso una maggiore puntualità negli adempimenti fiscali. Ma la sensazione diffusa è che a pagare il prezzo più alto saranno proprio i più piccoli, gli studi individuali e i giovani liberi professionisti.
Il Governo punta alla trasparenza e alla responsabilità fiscale, obiettivi condivisibili. Ma ogni riforma, per funzionare, deve trovare un equilibrio tra controllo e semplificazione. Richiedere ulteriori certificati per ricevere un compenso rischia di rallentare un sistema già appesantito, senza reali benefici in termini di legalità.
Nel 2026 si capirà se questa nuova stretta sarà davvero un passo avanti nella gestione delle risorse pubbliche o solo un nuovo ostacolo per chi, ogni giorno, mette la propria competenza al servizio dello Stato.





