Conto in banca e Fisco italiano: cosa succede se i redditi non vengono dichiarati correttamente.
Ogni anno l’Agenzia delle Entrate intensifica i controlli sui redditi di fonte estera detenuti dai contribuenti italiani. Un’attività che si fonda sull’incrocio dei dati ottenuti attraverso il Common Reporting Standard (CRS), lo standard internazionale di scambio automatico di informazioni finanziarie tra Stati, con quanto dichiarato nel modello Redditi.
Il principio alla base è semplice ma rigoroso: un residente fiscale italiano ha l’obbligo di dichiarare tutti i redditi percepiti, ovunque siano prodotti, e di segnalare qualsiasi attività patrimoniale detenuta all’estero, conti correnti, immobili, partecipazioni, strumenti finanziari. Chi omette questi dati rischia molto più di una semplice tirata d’orecchie.
Conto in banca, rischi fino a 108.000€ di multa se hai fatto questo errore banale: controlla subito
Il primo campanello d’allarme arriva sotto forma di lettera di compliance. Si tratta di una comunicazione “amichevole” con cui l’Agenzia segnala al contribuente un’incongruenza tra i dati in suo possesso e quanto dichiarato. È un invito a mettersi in regola spontaneamente, approfittando di un regime sanzionatorio agevolato.
Per esempio, chi ha dichiarato i redditi ma ha dimenticato di includere un conto all’estero con interessi o dividendi, può sanare la posizione tramite ravvedimento operoso, con sanzioni ridotte e senza che parta un contenzioso.

La situazione si fa più complessa se la dichiarazione è mancante o presentata in ritardo. In questo caso, l’Agenzia può notificare un invito a comparire, primo passo verso l’accertamento con adesione (previsto dal D.Lgs. 218/1997, art. 5-ter). Si apre così una fase interlocutoria tra fisco e contribuente, nella quale è ancora possibile negoziare.
Questa procedura non è solo una formalità,infatti, permette al contribuente di esporre le proprie ragioni, produrre documentazione, correggere eventuali errori, oppure chiudere la vicenda in modo collaborativo evitando sanzioni ben più pesanti.
Le cifre in gioco possono essere molto alte. Facciamo un esempio pratico: un contribuente residente in Italia ha un conto in Svizzera che frutta 150.000 euro di interessi e dividendi in un anno. Se non li dichiara, evade circa 60.000 euro di imposte. Le sanzioni per dichiarazione infedele variano dal 90% al 180% dell’imposta evasa: si parla quindi di sanzioni tra 54.000 e 108.000 euro.
Anche un solo anno di omissione può dunque generare un debito fiscale da sei cifre, senza contare interessi e ulteriori conseguenze in caso di reiterazione.
A complicare il quadro è la finestra temporale estesa che il Fisco ha a disposizione. In caso di dichiarazione non presentata, l’Agenzia delle Entrate può notificare un accertamento fino al 31 dicembre del settimo anno successivo a quello in cui la dichiarazione sarebbe dovuta essere trasmessa. Ricevuta una comunicazione dell’Agenzia, il contribuente ha alcune opzioni:
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Regolarizzare la posizione tramite ravvedimento operoso (prima che parta un accertamento formale).
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Accettare l’invito a comparire e aderire alla proposta dell’Agenzia, ottenendo così una riduzione delle sanzioni fino a un terzo del minimo previsto.
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Presentare memorie difensive, documenti giustificativi o, in caso di disaccordo, prepararsi a un eventuale contenzioso tributario.
In definitiva, la gestione dei redditi esteri non è più una zona grigia. Gli strumenti di cooperazione internazionale e i controlli sempre più raffinati rendono praticamente impossibile nascondere capitali al fisco italiano.





