Anche un semplice versamento in contanti può attirare l’attenzione del Fisco: per evitare accertamenti e sanzioni, è fondamentale indicare una causale chiara e documentare sempre l’origine del denaro.

E’ una regola che può apparire trascurabile invece è fondamentale. Sembra una cosa di poco conto:  poche banconote allo sportello, una firma, ricevuta e via. Eppure quel movimento lascia una traccia digitale che arriva dritta agli occhi attenti dell’Agenzia delle Entrate. Il Fisco, infatti, incrocia ogni versamento con le nostre dichiarazioni e, se i conti non tornano, scattano domande scomode.

Il dettaglio spesso trascurato che può fare la differenza tra una semplice operazione bancaria e un accertamento fiscale è infatti la causale. Quella manciata di parole spiegano all’istante perché quei contanti finiscono sul conto, proteggendoci da interpretazioni malevole. Senza di esse, l’Amministrazione può presumere che si tratti di reddito nascosto.

Ma quale causale scegliere? È qui che molti sbagliano: indicazioni vaghe o, peggio, campi lasciati in bianco invitano i funzionari a scavare. Bastano, invece, poche frasi precise per dormire sonni tranquilli. Vediamo perché.

Esempi pratici per essere in regola

Banche e poste trasmettono ogni anno all’Agenzia delle Entrate la fotografia dei nostri conti: giacenze, prelievi e, soprattutto, versamenti in contanti. L’articolo 32 del D.P.R. 600/1973 concede al Fisco ampia libertà di accesso a questi dati. Di fronte a cifre “sospette” – importi rilevanti o movimenti abituali senza apparente contropartita – l’ufficio avvia il cosiddetto “accertamento bancario”.

Versamenti causale
Regola da seguire quando versi i contanti sul conto corrente: mettere semrpe la causale – lavoro.com

La regola è semplice: ogni somma che non trova riscontro nella dichiarazione dei redditi è considerata reddito in nero a meno che il contribuente non provi il contrario. Lo ha ribadito la Cassazione con l’ordinanza 16850/2024: senza giustificazioni puntuali, l’avviso di accertamento è legittimo. Ecco perché la causale, pur non essendo un elemento “obbligatorio” del bonifico, diventa uno scudo difensivo. Deve indicare chi paga, perché paga e, se utile, il periodo di riferimento. Qualche esempio pratico:

Sostegno familiare: “Contributo spese quotidiane genitori – luglio 2025”.
Canone d’affitto: “Locazione abitazione via Roma 12 – luglio 2025”.
Donazione a un figlio: “Regalo diciottesimo compleanno Anna Rossi”.
Pagamento fattura: “Fattura 23/2025 – lenti a contatto mensili”.
Ristrutturazione prima casa: usare il “bonifico parlante” con codice fiscale, partita IVA dell’impresa e riferimento alla norma agevolativa.

Se l’importo è elevato (ad esempio una donazione importante o la restituzione di un prestito), la causale da sola non basta. Serve un documento con data certa: nel caso di prestito, un contratto registrato o inviato via PEC; per le donazioni maggiori, un atto notarile; per vincite al gioco, la certificazione rilasciata dall’ente concessionario.

Attenzione: esistono somme esenti da imposta – prestiti tra privati, donazioni entro determinate soglie, vendita di oggetti usati senza plusvalenza, risarcimenti o vincite tassate alla fonte – ma, se versate in contanti, vanno comunque tracciate. In caso di verifica, l’Agenzia invierà un questionario. Chi non fornisce prove circostanziate rischia imposte, sanzioni e interessi.