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La cessazione del rapporto di lavoro attraverso licenziamento disciplinare può essere considerata valida nel caso in cui il dipendente pubblico, senza previa autorizzazione, ometta di convalidare la propria uscita dall’ambiente lavorativo mediante l’apposito timbro del badge.

La mancata registrazione della timbratura durante la pausa pranzo può essere può essere qualificata come una “modalità fraudolenta” nell’attestazione della presenza in servizio. Tale condotta, in conformità con quanto disposto dall’articolo 55-quater del decreto legislativo 165/2001, configura una violazione disciplinare che potrebbe, appunto, giustificare il licenziamento disciplinare. Ad affermarlo è la Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, nella recente sentenza datata 2 novembre 2023, n. 30418.

Licenziamento collaboratrice amministrativa di Istituto scolastico: la vicenda in esame

La collaboratrice amministrativa di un Istituto scolastico ha impugnato il provvedimento di licenziamento disciplinare adottato nei suoi confronti dal MIUR. Tuttavia, il Giudice di primo grado ha respinto il ricorso, evidenziando che le condotte attribuitele, consistenti nell’allontanamento dall’istituto scolastico per l’intera durata della pausa pranzo senza procedere all’adeguata registrazione tramite il badge, non sono state contestate nella loro materialità rientrando nella fattispecie disciplinata dal Decreto Legislativo n. 165 del 2001, articolo 55-quater. La decisione del Giudice di primo grado è stata condivisa anche dalla Corte territoriale.

La decisione della Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione ha osservato che, nell’interpretare l’articolo 55-quater, lettera a), del Decreto Legislativo n. 165 del 2001, la condotta rilevante ai fini disciplinari non richiede necessariamente un’azione materiale di manipolazione o alterazione del sistema di registrazione delle presenze in servizio. Al contrario, deve manifestare un’effettiva capacità oggettiva di indurre in errore il datore di lavoro. Pertanto, l’assenza di timbrature durante un allontanamento dall’ufficio costituisce una modalità fraudolenta, rappresentando una situazione apparente discordante dalla realtà effettiva.

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Nello specifico, in conformità con quanto stabilito dall’articolo 55 quater, comma 1 bis, introdotto con il decreto legislativo n. 116 del 2016: “costituisce falsa attestazione della presenza in servizio qualunque modalità fraudolenta posta in essere, anche avvalendosi di terzi, per far risultare il dipendente in servizio o trarre in inganno l’amministrazione presso la quale il dipendente presta attività lavorativa circa il rispetto dell’orario di lavoro dello stesso”.

La Corte di Cassazione ha chiarito che, sia prima che dopo la riforma, costituisce falsa attestazione non solo l’alterazione o la manomissione del sistema automatico di rilevazione delle presenze, ma anche l’omissione di registrare le uscite interruttive del servizio. Considerando la natura specifica della sanzione disciplinare, quale il licenziamento, una volta dimostrata la condotta, è necessario valutare la proporzionalità o l’adeguatezza della sanzione in relazione alla gravità dell’inadempimento commesso dal lavoratore. In tal senso, il giudice può sindacare l’esercizio del potere datoriale in merito alla necessaria proporzionalità della sanzione espulsiva.

Le ragioni precedentemente esposte dalla Corte d’Appello

Nella decisione oggetto di impugnazione, la Corte territoriale ha sostenuto che, dal punto di vista oggettivo della condotta, le assenze non registrate, sebbene coincidenti con l’orario della pausa pranzo e prolungatesi, dunque, per un periodo pari a 30 minuti almeno, così come stabilito dal CCNL comparto scuola, non costituiva una giustificazione sufficiente per le azioni compiute dall’appellante. Questa conclusione si basa sul fatto che l’obbligo di timbratura era chiaramente comunicato a tutto il personale, incluso quello di effettuare la registrazione anche in caso di assenza per recarsi a pranzo.

La Corte d’Appello ha constatato che il comportamento negligente della lavoratrice, caratterizzato da una ripetizione e gravità tali da lederne irrimediabilmente il vincolo fiduciario con l’amministrazione datrice di lavoro, giustifica l’applicazione della massima sanzione disciplinare, ovvero l’espulsione. La Corte Suprema ha concordato con le ragioni esposte dalla Corte territoriale e ha, dunque, respinto il ricorso e ordinato alla ricorrente di sostenere le spese processuali.

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