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Sospensione servizio e retribuzione alla lavoratrice inidonea e no vax

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Il Tribunale di Roma, Sezione Lavoro, con ordinanza n. 18441 del 2021, ha stabilito che è legittima la sospensione dal servizio e dalla retribuzione applicata alla lavoratrice, divenuta inidonea alle mansioni, che rifiuta la vaccinazione anti-covid, per tale motivo il Giudice ha rigettato il ricorso con condanna alle spese di lite.

Di seguito il testo dell’ordinanza n. 18441/2021 (inidoneità mansioni, sospensione servizio e retribuzione).

TRIBUNALE DI ROMA

2 SEZIONE LAVORO

Il Giudice dott.ssa Renata Quartulli, sciogliendo la riserva che precede, esaminati gli atti

Osserva

Dalla documentazione in atti risulta quanto segue:

È evidente, quindi, che, contrariamente a quanto affermato dalla ricorrente, la comunicazione datoriale non costituisce un provvedimento disciplinare per il rifiuto di sottoporsi a vaccinazione, bensì un doveroso provvedimento di sospensione adottato stante la parziale inidoneità alle mansioni della lavoratrice. In questi casi, infatti, il datore ha l’obbligo di sospendere in via momentanea il dipendente dalle mansioni alle quali è addetto ai sensi dell’art. 2087 c.c.

A questo riguardo si richiamano le condivisibili argomentazioni espresse dal Tribunale di Modena (ordinanza 19.5.2021) che, dopo aver richiamato il disposto di cui all’art. 20 DLgs 81/2008 secondo cui: “1. Ogni lavoratore deve prendersi cura della propria salute e sicurezza e di quella delle altre persone presenti sul luogo di lavoro, su cui ricadono gli effetti delle sue azioni o omissioni, conformemente alla sua formazione, alle istruzioni e ai mezzi forniti dal datore di lavoro.

  1. I lavoratori devono in particolare:

a) contribuire, insieme al datore di lavoro, ai dirigenti e ai preposti, all’adempimento degli obblighi previsti a tutela della salute e sicurezza sui luoghi di lavoro;

b) osservare le disposizioni e le istruzioni impartite dal datore di lavoro, dai dirigenti e dai preposti, ai fini della protezione collettiva ed individuale …”

ha affermato: “Da una piana lettura della disposizione in esame si evince che il prestatore di lavoro, nello svolgimento della prestazione lavorativa, è tenuto (non solo a mettere a disposizione le proprie energie lavorative ma anche) ad osservare precisi doveri di cura e sicurezza per la tutela dell’integrità psico-fisica propria e di tutti i soggetti terzi con cui entra in contatto. Il prestatore di lavoro è quindi titolare di precisi doveri di sicurezza e, pertanto, deve essere considerato soggetto responsabile a livello giuridico dei propri contegni … Si osserva poi che, a opinare diversamente e così ad escludere un obbligo (giuridicamente rilevante) di collaborazione da parte del prestatore di lavoro in materia di sicurezza sul lavoro, si depotenzierebbe in misura più che significativa l’obbligo di sicurezza cui il datore di lavoro è sicuramente astretto ai sensi dell’art. 2087 c.c.”.

In ordine alla sussistenza dell’obbligo retributivo da parte del datore di lavoro, poi, la giurisprudenza concordemente ritiene che se le prestazioni lavorative sono vietate dalle prescrizioni del medico competente con conseguente legittimità del rifiuto datoriale di riceverle il datore di lavoro non è tenuto al pagamento della retribuzione (cfr. Tribunale di Verona, Sent. n. 6750/2015; Cass. n. 7619/1995).

Peraltro, come è stato osservato: “la protezione e la salvaguardia della salute dell’utenza rientra nell’oggetto della prestazione esigibile. Tutela della salute dell’utenza, penetrata nella struttura del contratto tanto da qualificare la prestazione lavorativa, che non può che attuarsi (anche) mediante la sottoposizione al trattamento sanitario del vaccino contro il virus Sars Cov-2. Con la conseguenza per cui un ingiustificato contegno astensivo rende la prestazione (ove tramontata la possibilità di ricollocamento aliunde) inutile, irricevibile da parte del datore di lavoro poiché inidonea al soddisfacimento dell’interesse creditorio e alla realizzazione del sinallagma, così come obiettivizzatosi nel regolamento contrattuale (Trib. Modena).

Tali considerazioni assumono carattere assorbente e giustificano il rigetto del ricorso.

Le spese seguono la soccombenza.

Pqm

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento di euro 1300 a titolo di compensi professionali oltre oneri di legge.

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