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Licenziamento illegittimo, maxi risarcimento solo se dimostrato

Licenziamento illegittimo, maxi risarcimento solo se dimostrato

Licenziamento illegittimo, maxi risarcimento solo se dimostrato:

La Corte Suprema di Cassazione, con la sentenza n. 23731 del 2016, ha stabilito che in caso di licenziamento illegittimo spetta il maxi risarcimento di cui all’articolo 18 della L.n. 300/1970 solo se il danno viene dimostrato.

E a parlarci di licenziamento illegittimo e maxi risarcimento alla luce della sentenza n. 23731/2016 è anche l’articolo pubblicato ieri (23.11.2016) dal Sole 24 Ore (Firma: Massimiliano Biolchini e Edoardo Maria Ceracchi; Titolo: “Il maxi risarcimento va riconosciuto solo se è provato”).

Ecco l’articolo.

In caso di licenziamento illegittimo, l’indennità prevista dall’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori nel suo ammontare minimo di cinque mensilità costituisce una presunzione del danno causato dal recesso che non ammette prova contraria, assimilabile a una sorta di penale connaturata al rischio di impresa.

La corresponsione, invece, dell’ulteriore indennità commisurata alla retribuzione non percepita dal lavoratore successivamente al recesso e fino alla effettiva reintegra (ovvero al pagamento della relativa indennità sostitutiva), costituisce una presunzione semplice che può essere superata dal datore di lavoro fornendo prova che il danno ulteriore non sussiste.

Tale principio, già espresso nella sentenza 23666/2011 della Corte di cassazione, è stato ribadito con la sentenza 23731/2016 pubblicata ieri all’esito di una complessa vicenda processuale relativa al caso di un lavoratore licenziato per malattia.

In particolare il dipendente, al termine del periodo di comporto contrattualmente previsto (sei mesi), ha richiesto e ottenuto (in base all’articolo 19 del Ccnl industria metalmeccanica) di fruire, senza soluzione di continuità, di un periodo di aspettativa per malattia. Allo spirare di questi ulteriori 12 mesi, il datore di lavoro ha invitato il dipendente a riprendere servizio. Poiché il lavoratore non ha dato seguito, l’azienda ha intimato il recesso.

Il lavoratore ha impugnato il licenziamento che è stato dichiarato illegittimo sostanzialmente per mancata indicazione nella lettera di recesso dei giorni di assenza conteggiati ai fini dell’iniziale periodo di comporto, pur essendo la ragione del recesso da ricondursi esclusivamente al superamento del successivo periodo di aspettativa, con conseguente diritto alla reintegra e al relativo risarcimento del danno.

Ebbene, con riguardo a quest’ultimo punto, la Cassazione ha confermato il diritto del lavoratore a percepire soltanto l’indennità “minima” di cinque mensilità e non anche le retribuzioni non corrispostegli successivamente al licenziamento. Ciò, in sostanza, poiché al tempo in cui il recesso è stato comminato, il lavoratore risultava in aspettativa non retribuita da oltre 12 mesi e, inoltre, non ha ripreso servizio nonostante l’invito dell’azienda.

La Corte ha argomentato inoltre che, qualora l’azienda avesse continuato a tollerare la sua assenza dal lavoro senza procedere al licenziamento, nessuna effettiva retribuzione sarebbe stata in ogni caso percepita dal lavoratore.

La Cassazione, pertanto, ha confermato la pronuncia nella parte si è considerato assolto da parte dell’azienda l’onere della prova circa l’insussistenza di un danno ulteriore sofferto dal dipendente.

 

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