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Licenziamenti dirigenti, non si applica il blocco previsto dal Cura Italia

Licenziamenti dirigenti, non si applica il blocco previsto dal Cura Italia

La Sezione Lavoro del Tribunale di Roma, con sentenza n. 3605 del 19 aprile 2021 (estensore dr. Massimo Pagliarini), con un ragionamento ineccepibile ha correttamente stabilito che il blocco dei licenziamenti previsti dal Decreto Cura Italia (D.L. 17 marzo 2020 n. 18, convertito con modifiche alla Legge 24 aprile 2020 n. 27) non si applica alla categoria dei dirigenti.

Di seguito il testo integrale della sentenza n. 3605/2021.

Sentenza n. 3605/2021 pubbl. il 19/04/2021
RG n. 27802/2020

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

IL TRIBUNALE DI ROMA

1^ Sezione Lavoro

27802/2020 R. Gen.

Il Giudice designato dr. Massimo Pagliarini

nella causa

TRA

…..

ricorrente

E

….

convenuta

all’udienza del 15.4.2021 ha pronunciato sentenza mediante lettura del seguente

DISPOSITIVO

rigetta la domanda;

spese interamente compensate.

RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE

… ha lavorato alle dipendenze della …; egli è stato assunto con contratto del 28.9.2018, con qualifica di dirigente (ai sensi del Ccnl dirigenti aziende industriali) per ricoprire la posizione e le relative mansioni di Chief Operating Officer (COO) della società.

Quest’ultima, con nota datata 29.4.2020 e consegnata a mano il successivo 6.5.2020, ha comunicato al … quanto segue.

come ben noto la scrivente Società sta attraversando un periodo di grandissima sofferenza economica e finanziaria, acuita dalle drammatiche conseguenze della pandemia Covid-19.

In tale contesto, avendo la Società avviato un processo di riorganizzazione aziendale finalizzato alla progressiva integrazione ed ottimizzazione delle strutture operative, nell’ottica del contenimento dei costi e di una più utile gestione dell’impresa, siamo addivenuti alla decisione di sopprimere la Sua posizione lavorativa di COO (Chief Operating Officer) di PSC e di ridistribuire e/o accorpare le funzioni ed attività che a lei fanno capo tra altri responsabili aziendali.

In ragione di quanto sopra, essendo stata soppressa la Sua posizione lavorativa, ci vediamo costretti a comunicarLe il nostro recesso dal rapporto di lavoro con Lei in essere, tanto più che in ambito aziendale non sussiste la possibilità di affidarLe altro incarico confacente con il Suo profilo professionale e il Suo trattamento economico.

Il recesso ha effetto immediato. Lei è esonerato dal rendere in servizio il periodo di preavviso contrattualmente previsto e verrà corrisposta la relativa indennità sostitutiva insieme con le competenze di fine rapporto nei termini d’uso…”.

… ha impugnato giudizialmente il recesso sostenendone la nullità e la illegittimità per più motivi.

… si è costituito in giudizio contrastando tutte le pretese del ricorrente e ribadendo la piena legittimità del proprio operato.

Discussa la causa, quest’ultima è stata decisa.

La domanda del … non può essere accolta.

Il primo motivo da esaminare è quello relativo al profilo riguardante l’ambito di applicazione del c.d. blocco dei licenziamenti, previsto come noto dall’art. 46 del decreto legge “Cura Italia” n. 18/2020, convertito con modificazioni alla legge n. 27/2020. Il … è infatti stato licenziato con lettera ricevuta il 6.5.2020, quando era in vigore detta disposizione (modificata, ma solo per la più estesa efficacia temporale del blocco, dal decreto legge “Rilancio” di poco successivo, n. 34 del 19.5.2020).

Si tratta in particolare di stabilire se il blocco riguardi anche la figura del dirigente.

Il dato letterale della disposizione, in uno con la filosofia che la sorregge, non consente di ritenere che la figura del dirigente possa essere ricompresa nel blocco.

Si è stabilito infatti che il datore di lavoro, indipendentemente dal numero dei dipendenti, non possa recedere dal contratto per giustificato motivo oggettivo ai sensi dell’art. 3 della legge n. 604/66, disposizione quest’ultima che pacificamente non si applica ai dirigenti sia per espressa previsione normativa (cfr. il successivo art. 10) sia per consolidato principio giurisprudenziale (per tutte, Cass. 2.10.2018, n. 23894 e Cass. 26.10.2018, n. 27199).

Il dato letterale, e cioè l’esclusione della figura del dirigente convenzionale dal blocco dei licenziamenti, risulta coerente con lo spirito che sorregge l’eccezionale ed emergenziale previsione del blocco dei licenziamenti durante la pandemia. Il blocco infatti è stato accompagnato da una pressoché generalizzata possibilità per le aziende, anche quelle piccole, di ricorrere agli ammortizzatori sociali, con la conseguenza che la cassa integrazione, estesa come detto a tutte le aziende, ha consentito a queste ultime di tamponare le perdite (attraverso una riduzione del costo del lavoro), permettendo la tutela occupazionale dei lavoratori, anche a fronte del blocco dei licenziamenti.

La chiara ed evidente simmetria tra il blocco dei licenziamenti e soccorso della collettività generale (attraverso gli ammortizzatori sociali) è resa evidente dalla speciale previsione del comma 1-bis del citato art. 46 del decreto Cura Italia (comma 1-bis introdotto dal successivo decreto “Rilancio” del maggio 2020), secondo la quale anche i licenziamenti per motivo oggettivo ex art. 3 legge n. 604/66, già intimati prima del blocco (dal 23.2.2020), possono essere revocati dal datore di lavoro perché contestualmente quest’ultimo faccia richiesta del trattamento di integrazione salariale.

In altre parole, per far fronte ad una emergenza sanitaria ed economica senza precedenti (almeno dal secondo dopoguerra), il sistema così delineato appare ragionevolmente sorretto dal binomio divieto di licenziamento/costo del lavoro a carico della collettività.

Con riguardo ai dirigenti detto binomio non può stare in piedi, poiché a questi ultimi non è consentito, almeno in pendenza del rapporto di lavoro, di accedere agli ammortizzatori sociali. Di conseguenza, nell’ipotesi in cui venisse esteso il blocco dei licenziamenti anche ai dirigenti, il datore di lavoro si ritroverebbe nella condizione di non poter reperire una soluzione sostitutiva (come per tutti gli altri dipendenti non dirigenti) che permetta loro di garantire reddito e tutela occupazionale senza costi aggiuntivi. Ciò determinerebbe che della categoria dei dirigenti dovrebbe necessariamente farsene carico il datore di lavoro, pur in presenza di motivi tali da configurare un’ipotesi di giustificatezza del recesso. E ciò potrebbe determinare un profilo di incoerenza costituzionale tra estensione del blocco ai dirigenti e principio di libertà economica.

In definitiva, la lettera della norma e la ratio del sistema non consentono di includere i dirigenti nella platea dei dipendenti beneficiari del blocco.

Uno degli argomenti più utilizzato da chi al contrario propende per l’estensione del blocco anche ai dirigenti è quello della irragionevolezza che sarebbe determinata dal fatto che il dirigente è protetto dal blocco quando rientra nella disciplina dei licenziamenti collettivi, mentre invece non è protetto quando si tratti di licenziamento individuale.

Al riguardo, la diversità delle due fattispecie (da una parte, il dirigente coinvolto in una procedura di licenziamento collettivo unitamente ad altri dipendenti protetti dal blocco; dall’altra, il dirigente destinatario da solo di un licenziamento economico individuale) è ragione tale da giustificare una diversità di trattamento tra le due ipotesi. E d’altra parte, comunque, tale diversità di trattamento non può costituire valido motivo per estendere il beneficio del blocco al licenziamento individuale del dirigente, quando come detto la lettera della legge e la ratio del sistema non lo consentono.

Detto ciò, quanto al merito, dalla lettera di recesso si trae la seguente scansione logica: periodo di sofferenza economica del datore di lavoro, acuita dalle conseguenze della pandemia; decisione di avviare un processo riorganizzativo finalizzato ad ottimizzare le strutture operative della compagine anche nell’ottica di un contenimento dei costi; soppressione della posizione lavorativa del … (di Chief Operating Officer) e ridistribuzione /accorpamento delle funzioni facenti capo alla posizione soppressa in favore di figure aziendali già presenti; recesso ai danni del …

Va subito detto che quest’ultimo, nell’impugnare il recesso, ha per lo più invocato regole e principi non applicabili al licenziamento del dirigente, avendo fatto richiamo alla nozione del giustificato motivo oggettivo e all’obbligo del repêchage, notoriamente non applicabili alla posizione dirigenziale del lavoratore, assistita da un regime di libera recedibilità del datore di lavoro (per tutte, Cass. 5.4.2019, n. 9665 e Cass. 11.2.2013, n. 3175).

Ciò su cui la difesa del ricorrente ha molto insistito, richiamando e depositando articoli di stampa, è una floridezza economica della compagine convenuta, nonché la circostanza che le funzioni espletate da … non sarebbe state soppresse o eliminate.

Al riguardo, va ricordato che la nozione di giustificatezza del recesso (che si discosta da quella del giustificato motivo oggettivo, trovando la sua ragion d’essere, da un lato, nel rapporto fiduciario che lega il dirigente al datore di lavoro in virtù delle mansioni affidate, e dall’altro, nello stesso sviluppo delle strategie di impresa che rendano nel tempo non pienamente adeguata la concreta posizione assegnata al dirigente nella articolazione della struttura direttiva dell’azienda) è ravvisabile ove sussista un’esigenza economicamente apprezzabile in termini di risparmio, della soppressione della figura dirigenziale in esecuzione di un riassetto organizzativo e societario e non emerga, in base ad elementi oggettivi, la natura discriminatoria  o contraria a buona fede della riorganizzazione. In tali casi, l’intervento del giudice non può entrare nel merito delle scelte di riorganizzazione ma può solo consistere nella verifica e nel controllo sull’effettività delle scelte del datore di lavoro poste a base del licenziamento (così, espressamente, la già indicata Cass. n. 9665/2019 e in precedenza, per tutte, Cass. 20.6.2016, n. 12668).

Ora, dalla natura discriminatoria o contraria a buona fede della riorganizzazione della società convenuta (che ha determinato la soppressione della figura dirigenziale del … non vi è traccia, tenendo conto che la stessa società, pressoché contestualmente alla risoluzione del rapporto con il … ha attivato la cassa integrazione Covid per il periodo dal 16.3.2020 al 17.7.2020 per tutto il personale in forza (escluso quello con qualifica dirigenziale) fino ad un massimo del 100% delle ore lavorabili (doc. 2 convenuta), ha disposto la risoluzione di sei contratti di consulenza con altrettante figure (doc. da 3 a 8 di parte convenuta), ha disposto la cessazione di tre attività di Advisory Board con altrettante figure e nessun dipendente della società e nessun nuovo assunto ha ricoperto la posizione del … dopo il suo licenziamento.

Sull’effettività della scelta di … di ridistribuire le attività svolte dal … alle altre posizioni operation facenti capo al dr. … (già dipendente della società e suo Consigliere di amministrazione), parlano chiaro gli organigrammi prodotti, essendo peraltro questa circostanza pacificamente ammessa dalla stessa difesa del ricorrente in sede di discussione orale.

Con la conseguenza che la circostanza che le funzioni in precedenza espletate da … non siano state soppresse o eliminate ma ridistribuite tra il personale già in forza non è circostanza di rilievo, poiché quello che conta è se la posizione del  … esista ancora in azienda (in ipotesi sostituito da un nuovo assunto) o sia stata effettivamente soppressa.

Pertanto, l’esigenza, economicamente apprezzabile in termini di risparmio, della soppressione di una figura dirigenziale in attuazione di un riassetto societario integra la nozione di giustificazione del licenziamento del dirigente richiesta delle norme collettive ove, come nella specie, non emerga la natura discriminatoria o contraria a buona fede della riorganizzazione e sia dimostrata l’effettività della scelta di riorganizzazione posta a base del licenziamento. La nozione di giustificatezza del licenziamento del dirigente, infatti, non deve necessariamente coincidere con l’impossibilità della continuazione del rapporto di lavoro e con una situazione di grave crisi aziendale tale da rendere impossibile o particolarmente onerosa tale prosecuzione, posto che il principio di correttezza e buona fede, che costituisce il parametro su cui misurare la legittimità del licenziamento, deve essere coordinato con quello di iniziativa economica, che verrebbe realmente negata ove si impedisse all’imprenditore, a fronte di razionali e non arbitrarie o pretestuose o discriminatorie riorganizzazioni aziendali, di scegliere discrezionalmente le persone idonee a collaborare con lui ai più alti livelli della gestione dell’impresa.

Per tali motivi, il recesso intimato al … non è privo di giustificatezza.

La domanda va di conseguenza disattesa.

Le spese del giudizio vanno interamente compensate, vista la novità della questione relativa al blocco dei licenziamenti.

Roma, 15.4.2021

Il giudice

Massimo Pagliarini

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