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Divorzio e assegno di mantenimento, le ultimissime dalla Cassazione

Divorzio e assegno di mantenimento, le ultimissime dalla Cassazione

Divorzio e assegno di mantenimento, le ultimissime dalla Cassazione:

La Corte Suprema di Cassazione, con la sentenza n. 11504 del 2017 ha stabilito che per quantificare l’assegno di mantenimento in caso di divorzio non si dovrà più utilizzare come parametro il tenore di vita durante tenuto durante il matrimonio. In pratica, vista la natura assistenziale dell’assegno, per la sua quantificazione il giudice dovrà tener conto dei criteri dell’indipendenza o dell’autosufficienza economica dell’ex coniuge che ne fa richiesta.

E di assegno di mantenimento, alla luce della sentenza 11504/2017 ci parla anche l’articolo pubblicato oggi (11.5.2017) dal Sole 24 Ore (Firma: Patrizia Maciocchi; Titolo: “Divorzio, il tenore di vita non conta più”) che vi proponiamo.

Ecco l’articolo.

Il tenore di vita durante il matrimonio non vale più come parametro per quantificare l’assegno di divorzio. In considerazione della natura assistenziale dell’assegno, il giudice dovrà ora seguire i criteri dell’indipendenza o dell’autosufficienza economica dell’ex coniuge che lo richiede.

La Corte di cassazione, con la sentenza 11504 (che riguarda un ex ministro e un’imprenditrice), archivia un principio rimasto in voga per 27 anni considerandolo non più attuale e manda in soffitta anche l’idea del matrimonio come “rendita di posizione” da far valere in eterno. Un cambio di rotta che i giudici fanno senza chiamare in causa le Sezioni unite, proprio in considerazione delle mutate condizioni socio-culturali che rendono ormai superato il criterio avallato nel 1990 (Sezioni unite 11490)ma applicato dalla Cassazione poco dopo l’introduzione del divorzio. Il principio dettato allora, basato sul tenore di vita analogo a quello avuto in costanza di matrimonio o legittimamente fondato sulle aspettative maturate nel corso delle nozze e fissate al momento del divorzio, era il frutto di un compromesso. Da una parte c’era l’esigenza di superare la concezione patrimonialistica del matrimonio, inteso come sistemazione definitiva, perché il divorzio era stato assorbito nel costume sociale, dall’altra bisognava però fare i conti con una società nella quale era presente un modello di matrimonio più tradizionale. Da qui «la preferenza accordata a un indirizzo interpretativo che meno traumaticamente rompesse con la passata tradizione». Esigenze molto attenuate nell’attuale periodo storico in cui il matrimonio, decisamente “dissolubile”, è un atto di libertà e di autoresponsabilità. Tanto che, in coerenza con questa visione, la Corte ha affermato che il diritto al mantenimento viene definitivamente meno quando si crea una nuova famiglia di fatto, a prescindere dalla durata del nuovo rapporto (sentenze 6855/2015 e 2466/2016).

Oggi la Corte nega che si configuri un interesse giuridicamente rilevante o protetto dell’ex coniuge a conservare il tenore di vita matrimoniale. «L’interesse tutelato con l’attribuzione dell’assegno divorzile – scrive la Corte – non è il riequilibrio delle condizioni economiche degli ex coniugi, ma il raggiungimento dell’indipendenza economica, in tal senso dovendosi intendere la funzione – esclusivamente – assistenziale dell’assegno divorzile». I giudici avvertono che un’interpretazione delle norme sull’assegno divorzile che rinvii a tempo indeterminato il momento della “rescissione” degli effetti patrimoniali può diventare un ostacolo alla costituzione di una nuova famiglia, violando, questa volta sì, uno dei diritti fondamentali dell’individuo riconosciuto dalla Cedu. I giudici ricordano che il diritto al mantenimento a “oltranza” è escluso anche nei confronti dei figli, malgrado l’esistenza di un vincolo che, contrariamente a quello del matrimonio, dura tutta la vita. La Cassazione indica la via al giudice che ora dovrà dare una risposta all’ex che chiede l’assegno, distinguendo due fasi: una basata sul principio dell’«autoresponsabilità economica» in cui si decide se esiste un diritto al mantenimento, e l’altra fondata sul principio della «solidarietà economica» nella quale, in caso affermativo, questo va quantificato. Nella prima il giudice valuterà la mancanza di mezzi adeguati e l’impossibilità di procurarseli basandosi su determinati indici: dalla presenza di altri redditi alla capacità lavorativa. Nella seconda peseranno il contributo di ciascuno alla conduzione familiare e al patrimonio, il reddito di entrambi e la durata del matrimonio.

IL VECCHIO PRINCIPIO 

La Cassazione ha invertito una rotta seguita dalla Suprema corte fin dal 1990. Il parametro di riferimento, dettato dalle Sezioni unite, al quale rapportare l’adeguatezza-inadeguatezza dei mezzi del richiedente, è stato sempre individuato nel «tenore di vita analogo a quello avuto in costanza di matrimonio, o che poteva legittimamente e ragionevolmente fondarsi su aspettative maturate nel corso del matrimonio stesso, fissate al momento del divorzio».

Un criterio che, a distanza di 27 anni, la Suprema corte ha cambiato, senza chiamare in causa le Sezioni unite – come sarebbe previsto quando una sezione semplice muta orientamento – perché, ormai superato dai tempi

LA NUOVA LINEA 

Per i giudici della prima sezione civile il parametro del tenore di vita, se applicato anche alla prima fase dell’an debeatur, collide radicalmente con la natura stessa dell’istituto del divorzio e con i suoi effetti giuridici. Con la sentenza di divorzio, infatti, il rapporto matrimoniale si estingue sul piano non solo personale ma anche economico-patrimoniale, sicché ogni riferimento a tale rapporto finisce illegittimamente con il ripristinarlo,, sia pure limitatamente alla dimensione economica del “tenore di vita matrimoniale” condotto, in una indebita prospettiva, di ultrattività del vincolo matrimoniale

IL GIUDICE 

Nella fase di verifica del diritto all’assegno, basata sul principio dell’autoresponsabilità economica, il giudice dovrà valutare la mancanza di mezzi adeguati o l’impossibilità di procurarseli.
In questo contesto pesano: l’esistenza di altri redditi, la capacità lavorativa, la disponibilità di una casa di abitazione. Tutto deve essere dimostrato dal coniuge richiedente, ferma la possibilità di prova contraria.

Nel quantificare l’assegno, in virtù del principio di “solidarietà economica” peserà: il contributo dato da ciascuno alla conduzione familiare e alla formazione del patrimonio il reddito e la durata del matrimonio

LA CONSULTA 

Secondo i giudici, la decisione non contrasta con la sentenza 11/2015 con cui la Corte costituzionale ha recepito l’orientamento ieri “abbandonato”. Per i giudici della prima sezione, infatti, la Consulta non aveva preso posizione sulla sostanza delle censure formulate dal giudice remittente, riducendo quella sollevata a una questione di mera interpretazione della norma. Omettendo inoltre di considerare che, in una precedente occasione , nell’escludere la possibilità di equiparare del tutto il trattamento del divorziato con quello del separato, aveva affermato che «basterebbe rilevare che per il divorziato l’assegno di mantenimento non è correlato al tenore di vita matrimoniale» (sentenza 474/1989)

 

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