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Rassegna della Corte di Giustizia dell’Unione Europea

Pubblico impiego

Rassegna della Corte di Giustizia dell’Unione Europea:

Si riporta di seguito una breve rassegna di alcune decisioni della Corte di Giustizia dell’Unione Europea in tema di lavoro transnazionale, ferie maturate durante periodi di malattia e infortunio e investimenti in fondi complementari. 

Lavoro transnazionale: applicabilità della Convenzione di Roma: Corte di Giustizia Ue, sez. IV, 15 dicembre 2011, C-384/10 – Controversie di lavoro – Convenzione di Roma sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali – Contratto di lavoro – Scelta delle parti – Norme imperative della legge applicabile in mancanza di scelta – Determinazione di tale legge – Lavoratore che compie il suo lavoro in più di uno Stato contraente

L’art. 6, n. 2, della Convenzione sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali, aperta alla firma a Roma il 19 giugno 1980, deve essere interpretato nel senso che il giudice nazionale adito deve stabilire se il lavoratore, nell’esecuzione del contratto, compie abitualmente il suo lavoro in uno stesso Paese (la legge del quale dovrà applicare), che è quello in cui o a partire dal quale, tenuto conto di tutti gli elementi che caratterizzano la detta attività, egli adempie essenzialmente ai suoi obblighi nei confronti del datore di lavoro. La scelta della legge effettuata dalle parti non deve comunque privare il lavoratore della protezione assicuratagli dalle norme imperative della legge che avrebbe dovuto regolare il contratto in mancanza di tale scelta“.

Normativa di riferimento:

Convenzione di Roma:

Art. 3 Libertà di scelta: 1. Il contratto è regolato dalla legge scelta dalle parti. La scelta dev’essere espressa, o risultare in modo ragionevolmente certo dalle disposizioni del contratto o dalle circostanze. Le parti possono designare la legge applicabile a tutto il contratto, ovvero a una parte soltanto di esso.

2. Le parti possono convenire, in qualsiasi momento, di sottoporre il contratto ad una legge diversa da quella che lo regolava in precedenza, vuoi in funzione di una scelta anteriore secondo il presente articolo, vuoi in funzione di altre disposizioni della presente convenzione. Qualsiasi modifica relativa alla determinazione della legge applicabile, intervenuta posteriormente alla conclusione del contratto, non inficia la validità formale del contratto ai sensi dell’articolo 9 e non pregiudica i diritti dei terzi.

3. La scelta di una legge straniera ad opera delle parti, accompagnata o non dalla scelta di un tribunale straniero, qualora nel momento della scelta tutti gli altri dati di fatto si riferiscano a un unico paese, non può recare pregiudizio alle norme alle quali la legge di tale paese non consente di derogare per contratto, qui di seguito denominate «disposizioni imperative».

4. L’esistenza e la validità del consenso delle parti sulla legge applicabile al contratto sono regolate dagli articoli 8, 9 e 11“.

Art. 6 Contratto individuale di lavoro: 1. In deroga all’articolo 3, nei contratti di lavoro, la scelta della legge applicabile ad opera delle parti non vale a privare il lavoratore della protezione assicuratagli dalle norme imperative della legge che regolerebbe il contratto, in mancanza di scelta, a norma del paragrafo 2. C 334/6 IT Gazzetta ufficiale dell’Unione europea 30.12.2005.

2. In deroga all’articolo 4 ed in mancanza di scelta a norma dell’articolo 3, il contratto di lavoro è regolato:

a) dalla legge del paese in cui il lavoratore, in esecuzione del contratto compie abitualmente il suo lavoro, anche se è inviato temporaneamente in un altro paese, oppure

b) dalla legge del paese dove si trova la sede che ha proceduto ad assumere il lavoratore, qualora questi non compia abitualmente il suo lavoro in uno stesso paese, a meno che non risulti dall’insieme delle circostanze che il contratto di lavoro presenta un collegamento più stretto con un altro paese. In questo caso si applica la legge di quest’altro paese”.

Le ferie maturano durante malattia e infortunio: Corte di Giustizia Ue, Grande sezione, 24 gennaio 2012, C-282/10

Ferie – Art. 7 direttiva 2003/88/Ce – Diritto alle ferie annuali retribuite – Assenza del lavoratore – Normativa nazionale – Durata delle ferie in funzione del tipo di assenza e della sua durata – Contrarietà alla direttiva 2003/88 – Applicabilità diretta della normativa dell’Unione – Presupposti

L’art. 7, par. 1, della direttiva 2003/88/Ce del Parlamento europeo e del Consiglio, del 4 novembre 2003, concernente taluni aspetti dell’organizzazione dell’orario di lavoro, deve essere interpretato nel senso che osta a norme o a prassi nazionali che prevedono che il diritto alle ferie annuali retribuite sia subordinato ad un periodo minimo di lavoro effettivo durante il periodo di riferimento (nella specie, dieci giorni), ma non ad una disposizione che preveda, a seconda della causa dell’assenza del lavoratore malato o infortunato, una durata superiore o uguale al periodo minimo di quattro settimane garantito da tale direttiva“.

Normativa di riferimento:

Direttiva 2003/88: Art. 7 Ferie annuali: 1. Gli Stati membri prendono le misure necessarie affinché ogni lavoratore benefici di ferie annuali retribuite di almeno 4 settimane, secondo le condizioni di ottenimento e di concessione previste dalle legislazioni e/o prassi nazionali.

2. Il periodo minimo di ferie annuali retribuite non può essere sostituito da un’indennità finanziaria, salvo in caso di fine del rapporto di lavoro“;

Art. 15 Disposizioni più favorevoli: La presente direttiva non pregiudica la facoltà degli Stati membri di applicare o introdurre disposizioni legislative, regolamentari o amministrative più favorevoli alla protezione della sicurezza e della salute dei lavoratori o di favorire o consentire l’applicazione di contratti collettivi o accordi conclusi fra le parti sociali, più favorevoli alla protezione della sicurezza e della salute dei lavoratori“.

Gli investimenti dei fondi di previdenza complementare: Corte di Giustizia Ue, sez. III, 21 dicembre 2011, C-271/09 – Previdenza complementare – Libera circolazione dei capitali – Ambito di applicazione – Fondi di pensione aperti – Restrizione all’investimento di capitali all’estero – Ammissibile – Proporzionalità – Necessità

L’interesse di garantire la stabilità e la sicurezza degli attivi gestiti da un fondo pensionistico complementare, segnatamente mediante l’adozione di regole prudenziali, costituisce un motivo imperativo di interesse generale che può giustificare restrizioni alla libera circolazione dei capitali.

Normativa di riferimento:

Direttiva 2003/41: Art. 18 Norme relative agli investimenti: 1. Gli Stati membri esigono che gli enti pensionistici aventi sede nel loro territorio investano conformemente al principio della «persona prudente» e in particolare conformemente alle regole seguenti:

a) le attività sono investite nel migliore interesse degli aderenti e dei beneficiari. In caso di potenziale conflitto di interessi l’ente o l’entità che ne gestisce il portafoglio fa sì che l’investimento sia effettuato nell’esclusivo interesse degli aderenti e dei beneficiari;

b) le attività sono investite in modo da garantire la sicurezza, la qualità, la liquidità e la redditività del portafoglio nel suo complesso. Anche le attività detenute a copertura delle riserve tecniche sono investite in maniera adeguata alla natura e alla durata delle future prestazioni pensionistiche previste;

c) le attività sono investite in misura predominante su mercati regolamentati. Gli investimenti in attività che non sono ammesse allo scambio su un mercato finanziario regolamentato devono in ogni caso essere mantenute a livelli prudenziali;

d) l’investimento in strumenti derivati è possibile nella misura in cui contribuisce a ridurre il rischio di investimento o facilita una gestione efficace del portafoglio. Tali strumenti devono essere valutati in modo prudente tenendo conto dell’attività sottostante e inclusi nella valutazione degli attivi dell’ente. L’ente pensionistico evita anche un’eccessiva esposizione di rischio nei confronti di una sola controparte e di altre operazioni su derivati;

e) le attività sono adeguatamente diversificate per evitare che ci sia un’eccessiva dipendenza da una determinata categoria di attività, emittenti o gruppi di imprese e che nel portafoglio complessivamente considerato vi siano concentrazioni del rischio. Gli investimenti in attività emesse dallo stesso emittente o da emittenti appartenenti allo stesso gruppo non espongono l’ente a un’eccessiva concentrazione di rischio;

f) gli investimenti nell’impresa promotrice non possono superare il 5 % del portafoglio nel suo complesso e, allorché l’impresa promotrice appartiene a un gruppo, gli investimenti nelle imprese dello stesso gruppo dell’impresa promotrice non possono superare il 10 % del portafoglio.

Qualora a promuovere l’ente pensionistico siano più imprese, gli investimenti in tali imprese promotrici sono effettuati secondo criteri prudenziali, tenendo conto della necessità di un’adeguata diversificazione. Gli Stati membri possono decidere di non applicare i requisiti di cui alle lettere e) e f) agli investimenti in titoli di Stato.

2. Lo Stato membro di origine vieta all’ente pensionistico di ottenere prestiti, o di agire da garante a favore di terzi. Tuttavia gli Stati membri possono autorizzare gli enti a effettuare

prestiti solo a fini di liquidità e su base temporanea.

3. Gli Stati membri non esigono che gli enti pensionistici aventi sede nel loro territorio investano in particolari categorie di attività.

4. Fatto salvo l’articolo 12, gli Stati membri non assoggettano le decisioni d’investimento di un ente pensionistico avente sede nel loro territorio o del suo gestore degli investimenti ad

obblighi di approvazione preventiva o di notificazione sistematica.

5. In conformità dei paragrafi da 1 a 4, gli Stati membri possono emanare regole più dettagliate per gli enti pensionistici aventi sede nel loro territorio, incluse regole quantitative, purché giustificate da criteri prudenziali, al fine di tenere conto del complesso degli schemi pensionistici gestiti da tali enti. In particolare gli Stati membri possono applicare disposizioni relative agli investimenti analoghe a quelle figuranti nella direttiva

2002/83/CE.

Gli Stati membri non impediscono tuttavia agli enti di:

a) investire fino al 70 % delle attività a copertura delle riserve tecniche o del portafoglio complessivo per gli schemi in cui il rischio di investimento grava sugli aderenti, in azioni, titoli negoziabili equiparati ad azioni ed obbligazioni di società, ammessi allo scambio nei mercati regolamentati, e decidere sul peso relativo di tali titoli nel loro portafoglio d’investimento. Qualora sia giustificato da criteri prudenziali, gli Stati membri possono tuttavia applicare limiti inferiori agli enti che erogano prodotti pensionistici con garanzia di tasso di interesse a lungo termine, che si assumono il rischio di investimento e forniscono essi stessi la garanzia;

b) investire fino al 30 % delle attività a copertura delle riserve tecniche in attività denominate in monete diverse da quelle in cui sono espresse le passività;

c) investire sui mercati del capitale di rischio.

6. Il paragrafo 5 non preclude agli Stati membri il diritto di imporre agli enti aventi sede nel loro territorio, anche su base individuale, regole di investimento più rigorose, purché siano

giustificate sotto il profilo prudenziale, con particolare riguardo alle obbligazioni assunte dall’ente pensionistico.

7. In caso di attività transfrontaliera di cui all’articolo 20, le autorità competenti di ciascuno Stato membro ospitante possono chiedere che nello Stato membro d’origine si applichino all’ente pensionistico le regole di cui al secondo comma.

Tali regole si applicano in questo caso solo per la parte degli attivi dell’ente che corrisponde alle attività svolte in quel particolare Stato membro ospitante. Inoltre tali regole si applicano soltanto se le stesse regole o regole più rigorose si applicano anche agli enti pensionistici aventi sede nello Stato membro ospitante.

Le regole di cui al primo comma sono le seguenti:

a) l’ente pensionistico non investe più del 30 % di tali attività in azioni, altri titoli equiparabili ad azioni ed obbligazioni non ammessi allo scambio su un mercato regolamentato ovvero l’ente investe almeno il 70 % di tali attività in azioni, altri titoli equiparabili ad azioni ed obbligazioni ammessi allo scambio su un mercato regolamentato;

b) l’ente pensionistico non investe più del 5 % di tali attività in azioni, altri titoli equiparabili ad azioni, obbligazioni, titoli di debito e altri strumenti del mercato monetario e dei capitali emessi dalla stessa impresa e non più del 10 % di queste attività in azioni ed altri titoli equiparabili ad azioni, obbligazioni, titoli di debito e altri strumenti del mercato monetario e dei capitali emessi da imprese appartenenti a un unico gruppo;

c) l’ente pensionistico non investe più del 30 % di tali attività in attività denominate in valute diverse da quelle in cui sono espresse le passività.

Per soddisfare tali requisiti lo Stato membro di origine può prescrivere la separazione («ring-fencing») delle attività”.

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