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Non può chiedere il risarcimento danni il lavoratore illegittimamente licenziato se ha consegnato all’azienda un curriculum falso, contenente cioè titoli non effettivamente posseduti. È quanto stabilito dal Tribunale di Trani con la sentenza n. 522 del 2019.

Le possibili applicazioni della decisione del Tribunale

Ne da notizia il Quotidiano del Diritto del Sole 24 Ore il quale afferma che questa sentenza è particolarmente interessante “in quanto il principio che viene affermato può trovare applicazione – con i necessari adattamenti – nell’ambito di qualsiasi rapporto di lavoro (non solo a termine, ma anche a tempo indeterminato): l’esibizione di un curriculum basato su titoli inesistenti costituisce una violazione dei doveri di correttezza e buona fede. Violazione che può legittimare la scelta di interrompere il rapporto, una volta scoperto l’inganno, senza costi per il datore di lavoro”.

Vediamo insieme i fatti di causa.

Il sig. …. si rivolgeva al tribunale di Trapani esponendo di aver partecipato ad una selezione nel 2018 indetta dalla società … per il reperimento di un Direttore Generale.

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I requisiti richiesti per l’assunzione

Di tale selezione venne data pubblicità su un sito internet, ove venivano indicati i seguenti requisiti di partecipazione: “laurea magistrale in ingegneria, economia e commercio, economia e management aeronautico e giurisprudenza; master e/o corsi di specializzazione e perfezionamento di settore; esperienza di almeno 5 anni in attività di direzione, con la qualifica di dirigente o equivalente posizione apicale, di società private, partecipate e/o controllate pubbliche; settori di provenienza: gestione aeroportuale, compagnie aeree, altri operatori del settore trasporto aereo e/o di altri settori di trasporto; conoscenza fluente scritta e parlata della lingua inglese”.

Il sig. …. aveva sottoscritto “apposita autocertificazione sui requisiti per partecipazione alla selezione”.

In data 14.6.2018, il sig. … superava la selezione e veniva assunto con contratto di lavoro a tempo determinato per la durata di tre anni e cioè fino al 17.6.2021.

Il licenziamento per curriculum falso

Dopo quasi due mesi, la società datrice di lavoro comunicò l’avvio del procedimento volto all’annullamento d’ufficio della delibera consiliare di assunzione, “stante il mancato possesso da parte del sig. …. del requisito richiesto a pena di esclusione … avendo (costui) conseguito la laurea in lingue, non contemplata tra i titoli necessari per la partecipazione alla procedura di selezione” e così il sig. … veniva licenziato a causa del suo curriculum falso.

Le richieste di risarcimento danni

Il lavoratore impugnava stragiudizialmente il licenziamento e si rivolgeva al tribunale di Trapani chiedendo il risarcimento del danno subito, nella misura del lucro cessante, pari alle retribuzioni che sarebbero state percepite per l’intera durata del rapporto … e del danno emergente (rappresentato dalle spese di trasporto), oltre al risarcimento del danno non patrimoniale per danni all’immagine.

Il ragionamento del Tribunale di Trapani

Il tribunale valutando le modalità di licenziamento (e cioè l’annullamento della delibera consiliare di assunzione) stabiliva che queste erano illegittime e precisava che nel caso di illegittimo recesso anzitempo del contratto di lavoro a tempo determinato, “non si può fare applicazione della tutela reintegratoria (oggi sostituita dalle tutele crescenti di cui al D.Lgs. n. 23/2015), ma bisogna fare applicazione degli strumenti di matrice risarcitoria conosciuti dal diritto civile”. In altri termini, proseguiva il Giudice, la giurisprudenza fa applicazione del principio del “danno effettivo” ritenendo che il lavoratore a tempo determinato ingiustamente licenziato non possa ottenere né il ripristino dello stesso, né l’indennità sostitutiva della reintegra, ma che possa al massimo chiedere il ristoro del lucro cessante, quantificato nelle retribuzioni che sarebbero maturate fino alla naturale scadenza del rapporto.

Il rigetto della richiesta di risarcimento

Il giudice, dunque, ha ritenuto che, dall’invalidità del recesso datoriale, “non possa scaturire in modo “automatico” la condanna alla corresponsione di un emolumento (come nel caso di rapporto a tempo indeterminato), ma si debba verificare se, effettivamente, nella sfera del lavoratore si sia determinato un danno emergente o un lucro cessante”.

Nel caso di specie, è dirimente la circostanza che l’assunzione del ricorrente era avvenuta con contratto a tempo determinato nel quale era stato previsto un periodo di prova di 6 mesi. Quindi, fino alla data del 18.12.2018, la società datrice di lavoro era libera di esercitare ad nutum il diritto di recesso dal rapporto di lavoro. Ciò rende destituita di ogni fondamento ogni pretesa risarcitoria ancorata alla circostanza che il rapporto si sarebbe dovuto protrarre fino al 2021; l’alternativa rispetto all’annullamento in autotutela del contratto, in sostanza, non era la protrazione del rapporto sino alla sua naturale scadenza, ma l’estinzione del medesimo per recesso del datore di lavoro in virtù del patto di prova. E poiché il ricorrente sin dall’inizio sapeva di non avere i titoli necessari per partecipare alla selezione bandita, non può avanzare alcuna pretesa risarcitoria, in quanto l’intero danno di cui si duole, è scaturito dalla sua condotta che, sebbene non illegittima, rappresenta comunque una violazione del dovere di correttezza e buona fede durante le trattative.

Il ricorso veniva così rigettato.

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