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La Corte Suprema di Cassazione con la sentenza 20520 del 2019 ha reso un principio di diritto relativamente alla modifica della clientela e al concetto di trasferimento in un caso che riguardava un promotore commerciale.

Estratto dell’articolo di Mauro Pizzin per il Sole 24 Ore (per l’articolo integrale clicca qui)

Nel caso in cui un promotore commerciale continui a operare nella medesima area geografica, ma siano stati cambiati i suoi clienti, è compito del giudice verificare se in questo modo sia stata o meno modificata in maniera sostanziale da parte del datore di lavoro, alterandola, la modalità di svolgimento della prestazione del dipendente.
Il concetto è stato chiarito dalla Corte di cassazione con la sentenza n. 20520/19, depositata lo scorso 30 luglio, in cui è stata chiamata a valutare il caso di un promotore licenziato per inadempimento dopo che quest’ultimo era rifiutato di accettare la variazione dei punti vendita in cui doveva operare, situati comunque nelle stesse province. Una scelta, quella dell’azienda, qualificata come trasferimento tanto dal Tribunale di Agrigento, quanto dalla Corte d’appello di Palermo, che avevano entrambe ritenuto legittimo il rifiuto del lavoratore di rendere la prestazione in base a quanto previsto dall’articolo 1460 del Codice civile.
Nel ritenere fondato il ricorso dell’impresa, secondo cui la modifica dei clienti all’interno della stessa zona operativa non poteva assumere i tratti del trasferimento, i giudici di legittimità hanno sottolineato preliminarmente che rientra nell’esercizio del potere datoriale individuare le strategie di vendita dei prodotti e scegliere i destinatari dell’attività promozionale da svolgere, indirizzando i suoi dipendenti verso la clientela che presenta maggiori spazi di miglioramento.
Ciò premesso, si tratta di capire se questa modifica integri o meno un trasferimento secondo quanto stabilito dall’articolo 2103 del Codice civile, secondo cui «il lavoratore non può essere trasferito da un’unità produttiva ad un’altra se non per comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive».
Sul punto, richiamando numerosi precedenti della giurisprudenza di legittimità, la Corte ha ricordato che con riguardo all’attività del lavoratori cosiddetti piazzisti l’unità produttiva o il luogo di lavoro rilevante ai fini dell’applicazione dell’articolo 2103 va individuato in qualsiasi articolazione autonoma dell’impresa idonea sotto il profilo funzionale «a esplicare, in tutto o in parte, l’attività di produzione di beni e servizi dell’impresa stessa, della quale costituisce elemento organizzativo». Un’unità produttiva che si è ritenuto individuabile nella zona da visitare o nell’itinerario da compiere per eseguire la prestazione lavorativa (Cass. n. 7196/96) e, più in generale, nell’ambito territoriale entro cui la prestazione dedotta in contratto deve essere effettuata (Cass. n. 157/84 e 2970/79).
Per quanto concerne, poi, gli ambiti di applicazione dell’articolo 2103, la Cassazione ha ricordato che la finalità principale della norma è quella di tutelare la dignità del lavoratore e di proteggere l’insieme di relazioni interpersonali che lo legano a un determinato complesso produttivo, ribadendo che le tutele previste per il dipendente trasferito rilevano anche quando lo spostamento avvenga in un ambito geografico ristretto; in quest’ultimo caso, tuttavia, se come nel caso del promotore commerciale la prestazione svolta resta identica ma cambiano i destinatari, occorre valutare «se in questo modo si è verificata quella modifica sostanziale della modalità di svolgimento della prestazione anche in relazione ad itinerari più faticosi e impervi da percorrere o da località più difficili da raggiungere di tal che la prestazione ne risulta sostanzialmente modificata». In questo contesto – spiegano i giudici di legittimità – la corte territoriale ha dato invece per scontato che la modifica dell’itinerario costituisse un trasferimento, trascurando di verificare se essa comportasse una sostanziale alterazione delle modalità con cui la prestazione doveva essere resa.
Da ciò la cassazione della sentenza e il rinvio alla Corte d’appello di Palermo in diversa composizione per una nuova valutazione della controversia.

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