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La Corte Suprema di Cassazione, con la sentenza n. 9750 del 2019, ha fatto il punto sui termini di decadenza della impugnazione del licenziamento in caso di trasferimento di azienda, alla luce di tutte le riforme intervenute ed in particolare quelle relative al Collegato Lavoro (art. 32, L.n. 183/2010). In particolare la Corte ha statuito che “il termine di decadenza stragiudiziale di 60 giorni introdotto dall’art. 32 della legge 183/2010 (Collegato Lavoro) non si applica al lavoratore che invochi la prosecuzione del rapporto di lavoro alle dipendenze dell’impresa cessionaria, ai sensi dell’art. 2112 del Codice civile, per effetto di un intervenuto trasferimento d’azienda” (dal Quotidiano del Lavoro del 11.4.2019).

Vediamo insieme i fatti di causa.

La Corte d’appello di Palermo, con sentenza del 9.12.2016, respingeva il gravame proposto da … avverso la sentenza del Tribunale della stessa città che, con riferimento a precedente sentenza del Tribunale di Agrigento – dichiarativa della nullità del termine finale apposto ai contratti di somministrazione stipulati con la … s.p.a., con costituzione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato in capo alla … s.p.a. a far data dal 4.6.2007 – aveva rigettato, per la ritenuta maturazione del termine di decadenza fissato dall’art. 32, comma 4, lettera c) della legge 183/2010, la domanda della …, intesa ad ottenere la declaratoria di un avvenuto trasferimento di azienda dalla S.C.P.A. … e la conseguente condanna della cessionaria a riammetterla in servizio ed a pagarle le mensilità retributive dalla data del trasferimento.

La Corte di Palermo rilevava che il primo (60 gg) del duplice termine, applicabile ai sensi del comma 4, lett. c, dell’art. 32 l.cit., con richiamo alle disposizioni novellate dell’art. 6 della legge 604/1966, fosse decorso prima dell’offerta delle proprie energie lavorative da parte dell’appellante con il telegramma del 2.4.2014, per esserne il termine iniziale ancorato alla data del trasferimento, intervenuto, per ammissione della stessa appellante, in data 1.11.2012. Riteneva che, anche per l’ipotesi in cui il lavoratore intendesse far valere nei confronti della cessionaria la cessione di contratto di lavoro avvenuta ai sensi dell’art. 2112 c.c., il termine di decadenza ivi previsto fosse da ritenere applicabile e che l’effetto preclusivo si fosse determinato.

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In particolare, riteneva non condivisibile la tesi dell’impossibilità dell’estensione analogica della indicata decadenza ad ipotesi non prevista, in violazione dell’art. 14 Disp. Prel. al cod. civ., in quanto il termine decadenziale doveva ritenersi operante, secondo la generale previsione della norma (art. 32, comma 4, lettera c) della legge 183/2010), anche al caso – diverso da quello in cui si contestava la legittimità del trasferimento d’azienda – in cui si invocasse il riconoscimento del diritto, negato, di proseguire il rapporto di lavoro presso il cessionario, attesa la ratio della norma, volta a tutelare l’esigenza di celere definizione delle situazioni giuridiche controverse.

L’automatismo della prosecuzione del rapporto presso il cessionario doveva, secondo la Corte, essere coordinato con la previsione normativa del termine di decadenza anche per manifestare la volontà di avvalersi del trasferimento d’azienda attraverso l’offerta delle proprie energie lavorative e non poteva rilevare in senso contrario la circostanza che il rapporto di lavoro con la … era stato dichiarato costituito solo con la sentenza n. 308 del 12.2.2014, in quanto la decorrenza dei termini di decadenza non poteva ritenersi impedita dalla pendenza del giudizio volto all’accertamento della nullità del termine apposto al contratto di somministrazione, né poteva reputarsi precluso dall’interessata l’esercizio dei diritti che da tale cessione derivavano.

Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione la lavoratrice che veniva accolto dalla Corte Suprema con il principio di diritto sopra enunciato.

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