Advertisement

La Corte Suprema di Cassazione, con la sentenza n. 1634 del 2019, ha stabilito che è illegittimo perché sproporzionato il licenziamento per giusta causa del dipendente che dopo molti anni di servizio e buona condotta abbia commesso piccoli furti di materiale di scarto, sempre tollerati dal datore di lavoro come prassi aziendale.

Questi i fatti all’esame della Cassazione.

  1. il Tribunale di Nola aveva rigettato l’impugnativa di licenziamento proposta da F.A., dipendente della società Sirio, al quale era stata contestata l’asportazione di cinque lampadine da proiettori da installare sull’autovettura Alfa 147, occultate nella tasca del proprio giaccone;
  2. con sentenza del 10.8.2016, la Corte d’appello di Napoli, in riforma di tale decisione, previa declaratoria dell’illegittimità del licenziamento, condannava la società appellata a reintegrare il F. nel posto di lavoro e nelle mansioni in precedenza svolte, nonché al pagamento, in favore dello stesso, delle retribuzioni maturate dal giorno del licenziamento alla data della reintegra ed al pagamento dei contributi previdenziali ed assistenziali;
  3. il Giudice del gravame, ritenuta infondata l’eccezione di inammissibilità del ricorso in appello, rilevava che il teste C.B. aveva confermato che l’operazione di smontaggio dei proiettori e di prelevamento delle lampadine per il successivo assemblaggio di pezzi di risulta per ottenere un elemento funzionante non era oggetto di una prassi, ma integrava un’operazione quanto meno tollerata dall’azienda e non avvertita come illecita, il che acquistava rilevanza nel giudizio di proporzionalità della sanzione;
  4. premessa l’ascrivibilità della giusta causa alla tipologia delle clausole generali, la Corte rilevava che l’integrazione del parametro normativo andava valutata con rispetto dei criteri e principi desumibili dall’ordinamento generale, laddove il giudizio di proporzionalità era improntato a criteri discrezionali, calibrato sulla gravità della colpa e sull’intensità della violazione della buona fede contrattuale, in funzione della necessità di apprezzare l’effettivo disvalore della condotta ai fini della prosecuzione del rapporto, con riferimento ad ogni aspetto concreto della vicenda; questa, nella specie, era stata caratterizzata da una condotta intesa non all’appropriazione delle lampadine, quanto, piuttosto, all’intento di procedere ad un loro successivo assemblaggio ed, in ogni caso, i beni erano di modico valore e la relativa sottrazione aveva cagionato un danno irrilevante all’azienda, sicchè, anche alla luce del valore esemplificativo della norma contrattuale quanto all’elencazione delle infrazioni, doveva ritenersi che i fatti dovessero essere sempre valutati alla luce del parametro del nocumento morale e materiale patito dal datore di lavoro, non potendo sottovalutarsi neanche il comportamento corretto, immune da censure, avuto dal lavoratore nei confronti dell’azienda per trentaquattro anni;
  5. la Corte osservava che il risarcimento del danno non potesse subire alcuna decurtazione, in quanto non vi erano state allegazioni di fatti rilevanti e tempestivamente dedotti in relazione al sistema di decadenze delineate tipiche di un procedimento di tipo chiuso, quale doveva considerarsi quello di lavoro;
  6. di tale decisione domanda la cassazione la società, che affida l’impugnazione a cinque motivi, illustrati con memoria depositata in prossimità dell’adunanza, cui resiste, con controricorso, il F..

Il ricorso per cassazione proposto dalla società datrice di lavoro veniva rigettato dalla Corte Suprema.

Ad avviso di quest’ultima e in adesione al ragionamento della Corte d’Appello, infatti, per la valutazione della condotta idonea a fondare il licenziamento in tronco senza preavviso deve essere data importanza preminente alla valutazione dei fatti alla luce di un criterio di proporzionalità, “in base al quale la gravità del comportamento del dipendente avrebbe dovuto essere riconsiderata tenendo conto delle testimonianze secondo cui il fatto di impossessarsi di taluni materiali di scarto fosse prassi invalsa tra i lavoratori che, in quanto tollerata dal datore di lavoro, non poteva essere percepita dai medesimi come illegittima.

Advertisement

Advertisement