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La Corte Suprema di Cassazione, con la sentenza n. 4946 del 2019, relativamente al licenziamento individuale per giustificato motivo oggettivo, ha stabilito che il datore di lavoro non deve soltanto dimostrare la crisi aziendale, ma anche le ragioni organizzative e produttive che hanno portato alla decisione di sopprimere la posizione lavorativa cui era addetta la lavoratrice licenziata.

Questi i fatti di causa.

Con ricorso al Tribunale di Bologna, (OMISSIS), premesso di aver lavorato per la (OMISSIS) s.p.a. (dapprima, nel 2008, come stagista, quindi con contratto di lavoro a termine e quindi, dal 1.3.11, in virtu’ di un contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato inquadrata nel VI livello del c.c.n.l. di categoria), deduceva di essere stata licenziata per giustificato motivo oggettivo in data 17.3.14 per asserita soppressione del ruolo di (OMISSIS), da ultimo ricoperto, chiedendo dichiararsi la natura subordinata del rapporto ab origine (con le conseguenti differenze retributive quantificate in Euro 32.351,34) e la nullità del licenziamento in quanto discriminatorio e comunque privo del dedotto giustificato motivo oggettivo dedotto, non provvisto peraltro di alcuna prova circa l’assolvimento dell’obbligo di repêchage, con reintegra nel suo posto di lavoro ed il versamento delle retribuzioni maturate dal licenziamento all’effettiva reintegra.

Radicatosi il contraddittorio, il Tribunale rigettava la domanda sia con ordinanza del 25.5.15, sia con sentenza n. 124/16.

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Avverso tale sentenza proponeva reclamo la (OMISSIS) lamentando una errata valutazione delle risultanze istruttorie e l’insussistenza del giustificato motivo oggettivo di licenziamento in uno al mancato assolvimento dell’obbligo di repêchage.

Con sentenza depositata il 9.6.16, la Corte d’appello di Bologna, nella resistenza della società, rigettava il reclamo, condannando la (OMISSIS) al pagamento delle spese di lite. Riteneva la Corte che sussistesse una crisi economica dell’azienda, non smentita dalla documentazione della lavoratrice, che comportò uno snellimento della struttura e soppressione del posto di lavoro de quo, con accorpamento a livello centrale delle relative funzioni, ritenendo in sostanza provata l’insussistenza di altre posizioni lavorative utili in azienda.

Per la cassazione di tale sentenza proponeva ricorso la lavoratrice.

La Suprema Corte ha innanzitutto rilevato che la sentenza impugnata risulta per lo più impegnata a confutare argomenti e documenti proposti dalla (OMISSIS) circa le condizioni economiche ed organizzative della società al momento del licenziamento, piuttosto che accertare gli effettivi requisiti che, secondo l’ormai stabile giurisprudenza di questa Corte, legittimano il licenziamento per giustificato motivo oggettivo, con ciò effettivamente violando il canone di cui all’articolo 2697 c.c..

A tal riguardo, si legge ancora nella sentenza 4946/2019, vanno rammentati i principi espressi da questa Corte in materia: “Ai fini della legittimità del licenziamento individuale per giustificato motivo oggettivo, l’andamento economico negativo dell’azienda non costituisce un presupposto fattuale che il datore di lavoro debba necessariamente provare, essendo sufficiente che le ragioni inerenti all’attività produttiva ed all’organizzazione del lavoro, comprese quelle dirette ad una migliore efficienza gestionale ovvero ad un incremento della redditività, determinino un effettivo mutamento dell’assetto organizzativo attraverso la soppressione di un’individuata posizione lavorativa“. Ovviamente la prova della sussistenza delle ragioni inerenti all’attività produttiva ed all’organizzazione del lavoro che abbiano determinato un effettivo mutamento dell’assetto organizzativo attraverso la soppressione di un’individuata posizione lavorativa grava interamente sul datore di lavoro L. n. 604 del 1966, ex articolo 5. E su tale punto, la società datrice di lavoro – ad avviso della Corte Suprema, non ha fornito elementi adeguati ad accertare le suddette ragioni produttive organizzative, come era suo precipuo onere. Ragion per cui ha accolto il ricorso proposto dalla lavoratrice illegittimamente licenziata.

Infine, relativamente all’obbligo di repêchage, la Corte ha precisato che la sentenza impugnata nuovamente risulta far gravare sulla lavoratrice un onere di indicare, se non di dimostrare, che esistevano nell’impresa altre posizioni lavorative in cui la ricorrente avrebbe potuto essere utilmente ricollocata (ritenendo non pertinenti e/o irrilevanti i documenti al riguardo prodotti dalla (OMISSIS)), laddove tale onere grava invece solo sul datore di lavoro (Cass. n. 5592/16, Cass. n. 24882/17, etc.).

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