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La Corte Suprema di Cassazione, con la sentenza 26996 del 2018, ha stabilito il seguente principio di diritto: “Niente danno morale al lavoratore per l’incidente sul lavoro (al quale aveva concorso per non aver indossato l’elmetto protettivo) se manca la prova del turbamento dello stato d’animo” (dal Quotidiano del Diritto del Sole 24 Ore del 25 ottobre 2018).

Vediamo insieme i fatti di causa.

Il sig. … si rivolgeva al giudice del lavoro di Siracusa con ricorso del 26 aprile 2004, instando per il riconoscimento dell’infortunio sul lavoro occorsogli … e per la condanna delle convenute società al risarcimento dei danni subiti.

All’esito della prova testimoniale, acquisita ulteriore documentazione e disposta consulenza tecnica medico-legale di ufficio, con sentenza in data 4-25 luglio 2007 il giudice adito accoglieva per quanto di ragione la domanda, con la condanna della s.r.l. … e della s.r.l. …. tra loro in solido, al risarcimento del danno morale, liquidato in 53.200,80 euro, ritenendo tra l’altro provato l’apporto causale nella misura del 20% fornito dal lavoratore alla determinazione del sinistro mediante la consapevole scelta di non utilizzare l’elmetto protettivo. Ciò posto, ad avviso del primo giudicante, rilevato che l’attore non aveva dedotto alcunché in ordine al cosiddetto danno biologico differenziale (sicché il danno biologico doveva intendersi integralmente contenuto in quello riconosciuto dall’INAIL ai sensi dell’art. 13 del decreto legislativo n. 38 del 2000) e che, alla luce della espletata c.t.u., doveva ritenersi l’insussistenza del danno esistenziale risarcibile, poteva essere riconosciuto e quindi dovuto dalle convenute il (solo) danno morale, come sopra liquidato secondo le cosiddette tabelle milanesi (quantificato in misura pari al 50% di quanto sarebbe spettato per danno biologico in applicazione delle suddette tabelle).

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La sentenza veniva impugnata dalle due società, mediante distinti ricorsi del 31 luglio e del 30 agosto 2007, cui resisteva il lavoratore. La Corte di Appello di Catania, riuniti i due procedimenti, con sentenza n. 137 in data 31 gennaio – 13 febbraio 2013, in riforma della gravata pronuncia, rigettava ogni domanda proposta dall’attore … nei confronti delle società appellanti, compensando peraltro tra le parti le spese dell’intero giudizio.

Per quanto ancora d’interesse in questa sede, la Corte territoriale, richiamati i principi di diritto affermati in tema di danno non patrimoniale dalla nota pronuncia delle Sezioni unite civili di questa Corte n. 26972 del 2008 – tra cui, in particolare, l’unitarietà del danno non patrimoniale, per cui deve reputarsi corretta la liquidazione, a titolo di risarcimento, in ragione di una somma onnicomprensiva, posto che le varie voci di danno non patrimoniale elaborate dalla dottrina e dalla giurisprudenza non costituiscono pregiudizi autonomamente risarcibili, potendo esse venire in considerazione soltanto in sede di adeguamento del risarcimento al caso specifico, fermo restando che sulla statuizione di primo grado in ordine alla omessa allegazione circa il danno biologico differenziale si era formato il giudicato interno – osservava che nel caso di specie mancava invero già in seno al ricorso introduttivo del giudizio qualsivoglia allegazione riguardo al danno morale (ovvero qualsiasi elemento in ordine ad esempio a particolari condizioni soggettive del ricorrente, tali da incidere sull’entità della relativa sofferenza o, eventualmente, sul turbamento del suo stato d’animo). Piuttosto l’attore aveva lamentato che le menomazioni subite a seguito dell’infortunio aveva determinato “il c.d. danno biologico alla salute e alla vita di relazione” (l’appello comunque non risultava proposto dal lavoratore in ordine a quanto accertato dal c.t.u.), essendosi poi limitato il … quanto al danno morale, a richiedere, sic et simpliciter, ovvero senza nulla allegare se non la mera enunciazione di tale voce di danno, la somma di euro 40.000,00 dal medesimo quantificata in via equitativa. Di conseguenza, secondo la Corte catanese, anche l’originaria domanda del lavoratore inerente al danno morale andava disattesa, in quanto la congiunta liquidazione a favore del danneggiato del risarcimento sia per il danno biologico che per il danno morale comportava, in assenza di allegazione su riflessi ulteriori rispetto a quelli tipici, una duplicazione risarcitoria delle medesime conseguenze pregiudizievoli. L’accoglimento, per le suddette ragioni, degli appelli rendeva superfluo l’esame degli altri motivi posti a sostegno delle due impugnazioni.

Avverso tale sentenza di appello (n. 137 del 2013, non notificata) proponeva ricorso per cassazione il lavoratore, che – ad avviso della Corte Suprema – era da considerarsi inammissibile per difetto di pertinenti motivi a sostegno dell’impugnazione, avuto riguardo alla ineccepibile argomentazione in base alla quale la Corte d’appello aveva ritenuto non dovuto il riconoscimento di ulteriori somme di denaro a titolo di danno morale.

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