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La Corte Suprema di Cassazione, con la Sentenza n. 19012 del 2018, ha affrontato un argomento piuttosto delicato relativo ai procedimenti penali a carico del lavoratore e sui poteri del datore di lavoro di effettuare indagini al riguardo, tramite la richiesta di certificato dei carichi pendenti.

Come è noto i dati giudiziari del lavoratore sono particolarmente tutelati nel rapporto di lavoro e possono assumere, “rilevanza sia in fase di assunzione, sia durante l’adempimento della prestazione lavorativa, sia in fase di recesso dal contratto”, come si legge nell’articolo pubblicato oggi dal Sole 24 Ore.  E tale tutela è contenuta nelle norme contenute;

nello Statuto dei diritti dei Lavoratori (L.n. 300/1970) e cioè l’art. 8 sul “Divieto di indagini sulle opinioni” il quale recita che: È fatto divieto al datore di lavoro, ai fini dell’assunzione, come nel corso dello svolgimento del rapporto di lavoro, di effettuare indagini, anche a mezzo di terzi, sulle opinioni politiche, religiose o sindacali del lavoratore, nonché su fatti non rilevanti ai fini della valutazione dell’attitudine professionale del lavoratore”;

nella la Costituzione italiana che all’art. 27 stabilisce, per quel che qui interessa, che “L’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva”;

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ed infine nella normativa sulla privacy che fa rientrare i dati giudiziari del dipendente nell’ambito dei dati sensibili ai quali anche il nuovo Regolamento europeo (679/2016) offre una tutela particolarmente rinforzata.

Alla luce di tale normativa, quindi, la Cassazione con la sentenza 19012/2018 sopra citata, ha stabilito che la richiesta da parte del datore di lavoro del certificato dei carichi pendenti al momento dell’assunzione è illegittima. Infatti, come si legge nell’articolo del Sole 24 Ore il datore di lavoro “può solo limitarsi, se questo è esplicitamente previsto dalla contrattazione collettiva, a chiedere l’esibizione del certificato penale, posto che, in base al divieto di indagini pre-assuntive ex articolo 8 dello Statuto dei lavoratori (legge 300/1970) e sul principio stabilito dall’articolo 27 della Costituzione, per valutare l’attitudine professionale del lavoratore rileva solo l’esistenza di condanne penali passate in giudicato”.

In sede di colloquio di lavoro, inoltre, sono da considerarsi altresì illegittime – sempre a norma dell’art. 8 dello Statuto dei Lavoratori, le indagini relative alla conoscenza da parte del datore di questioni attinenti la sfera della vita privata del lavoratore che non abbiano attinenza con le mansioni che questi andrà a svolgere, come ad esempio l’orientamento sessuale, la situazione familiare o i progetti di vita in tal senso del candidato ed anche la richiesta del certificato dello stato di famiglia.

In caso di violazione di tali diritti al datore di lavoro potrà essere inflitta una sanzione per violazione della privacy e delle norme antidiscriminatorie.

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