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La Corte Suprema di Cassazione, con la sentenza 22174 del 2018, ha reso il seguente principio di diritto “Nel contratto a termine in rispetto della contrattazione collettiva, ma senza l’apposizione esplicita della causa giustificativa, la disdetta del datore per raggiunta scadenza non è recesso se entrambe le parti hanno dato esecuzione al contratto” (Dal Quotidiano del Diritto del Sole 24 Ore del 13.9.2018).

Vediamo insieme i fatti di causa di cui alla sentenza 22174/2018

Il giudice del lavoro di Santa Maria Capua Vetere, adito da … con ricorso del 19.9.2007 per la declaratoria di nullità del termine finale apposto ai vari contratti di lavoro subordinato a tempo determinato, stipulati con la … s.p.a. – il primo dei quali con decorrenza dal 20 marzo sino al 18 agosto 2000 ed in seguito prorogato fino al 22 dicembre dello stesso anno – con sentenza in data 10.4.2009 accoglieva la domanda, accertando la costituzione tra le parti di un contratto a tempo indeterminato, dal 20 marzo 2000, condannando quindi la società convenuta al risarcimento del danno commisurato alle retribuzioni dovute dal 7 dicembre 2007, oltre accessori di legge, nonché al rimborso delle spese di lite.

La Corte d’Appello di Napoli, in seguito al gravame proposto dalla … , con sentenza n. 36 in data 8-25 gennaio 2013, riformava soltanto in parte l’impugnata pronuncia di primo grado, limitatamente al capo b) del suo dispositivo, condannando la convenuta appellante al pagamento, in favore del …, dell’indennizzo ex art. 32 L.n. 183/2010 in ragione di nove mensilità e mezzo della retribuzione globale di fatto percepita al momento della cessazione del rapporto, a titolo di risarcimento del danno (spettante fino alla suddetta pronuncia, emessa il 7 aprile 2009), oltre accessori dalla maturazione del credito al saldo, confermando nel resto la gravata decisione e condannando, inoltre, la società al pagamento delle ulteriori spese di lite, come ivi liquidate, con attribuzione al procuratore anticipatario costituitosi per l’appellato. Infatti, secondo la Corte di merito, risultava applicabile unicamente lo jus superveniens di cui al citato art. 32, essendo infondate le altre cause (preteso giudicato ostativo ex sentenza 318/2007, resa dal Tribunale di Napoli, ma concernente un accordo transattivo intervenuto tra la madre del … e la …, rispetto al quale l’appellato risultava unicamente come eventuale beneficiario; insussistenza del preteso indebito frazionamento del credito, nonché della decadenza per difetto di presupposto, non ravvisandosi nella specie gli estremi di alcun licenziamento nella missiva di parte datoriale in data 1 agosto 2002; analogamente, inesistenza di scioglimento del rapporto contrattuale per mutuo consenso; ritenuta la genericità della causale di cui al primo contratto a termine in data 20.3.2000, disciplinato dalla allora vigente L. n. 230/1962, laddove era stato unicamente menzionato il comma 10 dell’accordo interconfederale, peraltro mancando ex art. 23 L.n. 56/1987 uno specifico riferimento all’ulteriore esigenza enucleata dalla contrattazione collettiva, con l’indicazione, precisa e circostanziata, del contratto collettivo che la prevedeva; inoltre, nella specie l’attore, nell’allegare le mansioni svolte quale addetto al normale ciclo produttivo in essere presso la convenuta, aveva contestato la legittimità dei termini de quibus, sicché spettava alla società resistente provare le ipotesi ammesse ex L.n. 230/1962, ciò che però non era accaduto, laddove con la memoria difensiva di prime cure era stata unicamente dedotta l’operatività dell’art. 23 L.n. 56/87 e quindi dell’accordo interconfederale del 1988, ma senza indicare circostanze di fatto dalle quali fosse desumibile la ricorrenza di una delle ipotesi contemplate dall’art. 1 L.n. 230 cit.).

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Avverso la sentenza di appello ha proposto ricorso per cassazione la società datrice di lavoro che veniva accolto dalla Corte Suprema.

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