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La Corte Suprema di Cassazione, con la sentenza n. 16698 del 2018, ha reso il seguente principio di diritto: “Nell’ipotesi di reggenza di un ufficio dirigenziale va riconosciuto il diritto del lavoratore a ottenere le differenze retributive tra il trattamento economico percepito e quello proprio delle superiori mansioni. Nel caso specifico vanno ricompresi anche gli elementi accessori e, dunque, sia la retribuzione di posizione che quella di risultato, superando la disciplina prevista dalla contrattazione collettiva” (dal Quotidiano del Diritto del Sole 24 Ore del 26.6.2018).

Vediamo insieme i fatti di causa di cui alla sentenza n. 16698/2018.

Con sentenza in data 30 agosto 2012 la Corte d’Appello di Bologna: 1) respinge l’appello principale del Ministero della Giustizia avverso la sentenza del Tribunale di Bologna n. 965/2006 di accoglimento, con condanna generica e decorrenza dal 22 gennaio 2002, della domanda di … – all’epoca dipendente del Ministero inquadrato nell’area C, posizione economica C3 – diretta al riconoscimento delle differenze retributive (con accessori di legge) per lo svolgimento di fatto, per vacanza del posto, di mansioni proprie di una qualifica superiore di dirigente di seconda fascia (avvenuto dal 28 maggio 1997 al 12 novembre 2001); 2) accoglie parzialmente l’appello incidentale del … e per l’effetto condanna il Ministero della Giustizia a corrispondere al dipendente una somma pari alle suddette differenze retributive, non comprendente la retribuzione di posizione, parte variabile, e la retribuzione di risultato.

La Corte territoriale, per quel che qui interessa, precisa che:

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  1. La preposizione piena ed incondizionata all’ufficio dirigenziale in oggetto protrattosi per circa tre anni comporta la grave presunzione dell’avvenuta esplicazione delle mansioni proprie del titolare del relativo posto in pianta organica, pacificamente vacante;
  2. I conteggi effettuati dal dipendente non sono stati contestati, sicchè non è necessaria una CTU contabile;
  3. Non possono esser riconosciute la retribuzione di posizione, parte variabile, e la retribuzione di risultato, perché esse postulano l’attribuzione anche formale dell’incarico nonché conseguenti valutazioni e “graduazioni”, nell’ambito delle risorse complessive, in base alla contrattazione collettiva.

Avverso tale decisione ha proposto ricorso per cassazione il lavoratore che è stato accolto dalla Corte Suprema con il principio di diritto sopra enunciato.

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