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La Sezione Lavoro della Corte Suprema di Cassazione, con la sentenza n. 10280 del 2018, ha reso il seguente principio di diritto: “ Giusta causa (diffamazione) per il licenziamento della lavoratrice che affida alla sua bacheca Facebook il suo sfogo “mi sono rotta i c…di questo posto di m…e per la proprietà”, comportamento idoneo a recidere irrimediabilmente il vincolo fiduciario nel rapporto lavorativo. La Cassazione, infatti, ha dato valore alla potenzialità del social network di raggiungere molte persone. (dal Quotidiano del Diritto del Sole 24 Ore del 30.4.2018).

Vediamo insieme i fatti di causa di cui alla sentenza 10280/2018.

Con sentenza del 12.5.2016, la Corte di appello di Bologna respingeva il gravame proposto da … avverso la decisione del Tribunale di Forlì, che aveva rigettato il ricorso proposto dalla predetta volto all’accertamento dell’illegittimità del licenziamento intimatole per giusta causa il 29.5.2012 dalla s.r.l. … al fine di ottenere la tutela denegatale in sede cautelare ex art. 18 L. 300/1970, nel testo anteriore alla legge Fornero, o, in subordine, ex art. 8 L. 604/1966.

Rilevava la Corte che l’ascrivibilità della condotta tenuta dall’.., con le specifiche modalità indicate, al delitto di diffamazione era pacificamente ritenuta dalla giurisprudenza richiamata in sentenza e che come tale la stessa integrava comportamento idoneo ad incrinare irrimediabilmente il vincolo fiduciario coessenziale al rapporto di lavoro e deducibile quindi a giusta causa di licenziamento, tanto più che nella fattispecie alle invettive rivolte all’organizzazione aziendale ed ai superiori si aggiungeva la prospettazione del ricorso a malattie asintomatiche in caso di dissensi di vedute con il datore di lavoro, e ciò da parte di soggetto caratterizzantesi per una documentata frequente morbilità.

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Si aggiungeva che i testi avevano escluso che in capo alla … fossero ravvisabili condizioni di particolare aggravio o stress quanto alle condizioni di lavoro e che pertanto era risultato vano il tentativo di individuare un’esimente della condotta diffamatoria della lavoratrice nelle condizioni di lavoro ed in un non provato stress lavoro correlato e che, escluso il nesso causale tra diffamazione e condizioni di lavoro vissute dalla …., si rivelava astratto ed inconcludente il richiamo alle prescrizioni emesse dalla Commissione tecnica dell’AUSL di … . Questa aveva certificato le capacità della lavoratrice, già invalida, come “conservate con limitazioni saltuarie relative all’esposizione a situazioni stressanti sul piano psicofisico”, e non era emerso in concreto una violazione di tali prescrizioni, laddove la riproposta richiesta istruttoria di esibizione del Documento di Valutazione dei rischi aziendale e di consulenza tecnica “psichiatrica e medica del lavoro, diretta ad accertare il nesso di causalità tra le condizioni di salute della lavoratrice, l’ambiente di lavoro e le espressioni oggetto di causa”, doveva ritenersi avere valore meramente esplorativo.

Avverso tale decisione proponeva ricorso per cassazione la lavoratrice licenziata che veniva rigettato dalla Corte Suprema, con il principio di diritto sopra esposto.

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