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La Corte Suprema di Cassazione, con la sentenza n. 9339 del 2018, ha stabilito la illegittimità del licenziamento irrogato per assenza ingiustificata di 3 giorni del lavoratore, il quale aveva fatto richiesta di ferie per ragioni familiari per il periodo in cui si era assentato e il datore non aveva dato riposta.

Ma vediamo insieme i fatti di causa di cui alla sentenza 9339/2018 con l’articolo pubblicato oggi (17.4.2018) dal Sole 24 Ore (Firma: G. Bulgarini d’Elci, Titolo: “Giusta causa di recesso mai automatica”) che di seguito riportiamo.

È illegittimo il licenziamento intimato al dipendente per assenza ingiustificata superiore a tre giorni nel caso in cui il lavoratore aveva fatto richiesta di un corrispondente periodo di ferie per ragioni familiari e il datore aveva omesso di pronunciarsi in merito. Ciò, anche se il contratto collettivo riconnette alle assenze ingiustificate superiori a tre giorni la sanzione massima espulsiva.

La Cassazione (sentenza 9339/18, depositata ieri) osserva che non basta applicare in astratto le fattispecie disciplinarmente rilevanti previste dalla contrattazione collettiva e riconnettervi la pedissequa applicazione delle misure sanzionatorie ivi previste, in quanto è compito del giudice calare il comportamento inadempiente del lavoratore nel contesto soggettivo e oggettivo in cui si è sviluppata la vicenda sfociata nel licenziamento.

In altri termini, le clausole della contrattazione collettiva che riconnettono a specifiche inadempienze la sanzione del licenziamento per giusta causa non sono suscettibili di un’applicazione avulsa dalla realtà concreta nella quale il rapporto di lavoro si è svolto.

Ad avviso della Cassazione, peraltro, il giudizio di comparazione non può limitarsi all’esame del comportamento del lavoratore, ma deve abbracciare anche la condotta del datore per verificare che quest’ultimo non abbia contribuito, secondo una valutazione effettuata in base ai canoni di buona fede e correttezza, al prodursi dell’ipotesi d’inadempimento contestata.

Facendo applicazione di questi principi, la Cassazione ha riformato la sentenza della Corte d’appello di Palermo, che aveva confermato la validità del licenziamento sul presupposto che il lavoratore avesse superato i tre giorni di assenza ingiustificata previsti dal contratto collettivo per l’intimazione della sanzione espulsiva. La Corte osserva, in senso contrario, che era necessario valorizzare il contesto in cui si è perfezionata l’assenza ingiustificata, tenendo in considerazione solide circostanze che, sul piano concreto, rendevano meno grave la condotta attribuita al lavoratore: anzitutto, la circostanza che, proprio con riferimento ai giorni di assenza, il lavoratore aveva precedentemente richiesto la fruizione delle ferie per «gravi ed improrogabili esigenze familiari» e, di seguito, l’ulteriore circostanza per cui pochi giorni dopo era deceduto il padre del dipendente.

La Cassazione attribuisce valore anche al silenzio del datore, che (pur consapevole del lutto) non aveva autorizzato la richiesta di ferie del dipendente, né gli aveva inviato un richiamo di avvertimento prima di avviare l’azione disciplinare.

Sulla scorta di questi rilievi, la Corte di legittimità ha cassato la sentenza dei giudici d’appello, rinviando al merito perché sia fatta una valutazione della gravità dell’assenza ingiustificata in relazione a tutte le circostanze concrete attenuanti.

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