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Le Sezioni Unite della Corte Suprema di Cassazione, con la sentenza 2990 del 2018, hanno stabilito che a seguito dell’accertamento giudiziale di interposizione fittizia di manodopera, al lavoratore che abbia offerto la propria prestazione lavorativa, rifiutata però dal datore, spetta in ogni caso la retribuzione.

Vediamo nel dettaglio il commento che ne fa oggi (9.2.2018) il Quotidiano del Diritto del Sole 24 Ore (firma: F. Machina Grifeo; Titolo: “Interposizione fittizia, diritto alla retribuzione in caso di mancata assunzione”) che di seguito riportiamo.

Nell’appalto di servizi, a seguito dell’accertamento giudiziale della interposizione fittizia di manodopera, qualora il lavoratore abbia offerto la propria prestazione lavorativa, il datore che l’abbia illegittimamente rifiutata deve comunque corrispondere la retribuzione. Non è corretto, infatti, che siano i lavoratori a subire le «conseguenze sfavorevoli derivanti dalla condotta omissiva del datore di lavoro rispetto all’esecuzione dell’ordine giudiziale». Lo hanno stabilito le Sezioni unite della Cassazione, sentenza n. 2990/2018, respingendo però la richiesta dei ricorrenti nei confronti di Sogei, società committente, sulla base del fatto che comunque avevano continuato a percepire la retribuzione dalla azienda di servizi presso cui erano fittiziamente impiegati. E, prosegue la Corte, la retribuzione non era inferiore a quelle che avrebbero percepito da Sogei. La Suprema corte dunque ha affermato il principio di diritto per cui «in tema di interposizione di manodopera, ove ne venga accertata l’illegittimità e dichiarata l’esistenza di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato, l’omesso ripristino del rapporto di lavoro ad opera del committente determina l’obbligo di quest’ultimo di corrispondere e retribuzioni, salvo gli effetti dell’art 3 bis Dlgs n 276/2003, a decorrere dalla messa in mora».

Va dunque superata, prosegue la decisione, «la regola sinallagmatica della corrispettività – intesa come riconoscimento a lavoratore che chiede l’adempimento, del solo risarcimento del danno in caso di mancata prestazione lavorativa, pur se tale mancata prestazione è conseguenza di un rifiuto illegittimo del datore di lavoro – tenuto conto che essa appare limitativa, ed inidonea a fornire a lavoratore una tutela effettiva». E ciò, continua la Corte, «soprattutto con riferimento ad ipotesi, come quella di cui si discute, nelle quali, al mancato svolgimento della prestazione lavorativa, si faccia corrispondere l’automatica non debenza della corrispondente obbligazione retributiva». Così onerando il lavoratore di ulteriori conseguenze sfavorevoli derivanti dalla condotta omissiva del datore. In definitiva, il datore che «nonostante la sentenza che accerta il vincolo giuridico, non ricostituisce i rapporti di lavoro, senza alcun giustificato motivo, dovrà sopportare il peso economico delle retribuzioni, pur senza ricevere la prestazione lavorativa corrispettiva, sebbene offerta dal lavoratore».

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